50° anniversario dello Statuto dei lavoratori

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In occasione di questa ricorrenza, importante per tutto il mondo del lavoro, è bene anzitutto sottolineare la perdurante attualità dello Statuto nel momento in cui proprio grazie ai principi che da esso sono stati per la prima volta declinati nel ’70 circa il riconoscimento del valore delle relazioni sindacali tramite la pratica del confronto e della contrattazione tra le parti sociali e in esso del protagonismo delle lavoratrici e dei lavoratori, oggi stiamo riuscendo in piena emergenza Covid a definire modalità di ripresa delle attività concordate all’interno dei posti di lavoro, che siano rispettose della dignità e della salute di tutti.
 
Non è neppure un fatto scontato osservare che i principi e i valori che ispirano il testo che si deve soprattutto alla capacità di mediazione di Gino Giugni ed altri, e che anche oggi risultano in modo sorprendente di facilissima lettura e comprensione da parte di chiunque, siano tutt’ora validi. Ciò che è cambiato intorno ad essi sono ovviamente le norme attuative che necessariamente, al di là di ogni rigidità e resistenza spesso solo ideologica, necessitano sempre di adattamento al cambiamento del lavoro, o come si preferisce dire oggi dei lavori, cambiamento che tutti stiamo vivendo anche sulla spinta dell’emergenza attuale.
 
Oggi non si festeggiano infatti i 41 articoli della Legge, ma il fatto che al centro dello Statuto, del quale è bene richiamare sempre il titolo - “Norme sulla tutela della libertà e dignità dei lavoratori, della libertà sindacale e dell’attività sindacale nei luoghi di lavoro e norme sul collocamento” - stanno appunto i lavoratori, al plurale, intesi cioè come persone. Ad esse la nostra Costituzione riconosceva già la loro libertà e dignità, ma allora quelle libertà e dignità delle lavoratrici e dei lavoratori rischiavano di doversi fermare ai cancelli delle nostre fabbriche; le ingerenze sulle opinioni, l’uso di sistemi di controllo illegali, gli abusi disciplinari e la sistematica mortificazione delle professionalità vi erano infatti molto diffuse, e proprio per questo contro di esse venne prevista una precisa e articolata tutela giuridica.
 
Il lavoro di redazione del testo fu certo laborioso ma approdò al risultato soprattutto per mano di esponenti lungimiranti sia del sindacato che del mondo della politica, che seppero trasformarne l’impostazione iniziale da mera enunciazione di diritti individuali verso una legislazione di sostegno alla contrattazione propria della migliore azione sindacale, superando la logica di conflittualità sociale che aveva caratterizzato l’epoca burrascosa in cui lo statuto era nato, e riuscendo a fare sintesi tra le diverse posizioni, verso l’affermazione riconosciuta della piena autonomia e specificità dell’agire sindacale.
 
Anche la delineazione che lo Statuto attuò delle modalità di presenza del sindacato nei luoghi di lavoro derivava dalla necessità di assicurare le necessarie garanzie a vantaggio del protagonismo effettivo dei lavoratori dentro le fabbriche sviluppando, a partire dalle basi costituzionali, i diritti fondamentali delle persone che lavorano.
 
Furono così resi effettivamente esigibili, anche estendendo l’attenzione ai bisogni reali delle nuove generazioni di allora non interessate solo al salario, ma anche agli altri aspetti oggi divenuti altrettanto fondamentali del lavoro come la formazione, l’inquadramento, le mansioni, la salute, gli orari o più ampiamente le condizioni di lavoro. Anche la lunga stagione aperta dalle famose “150 ore” che da allora interessò trasversalmente tante generazioni, si spiega con la necessità - che allora fu da pochi intuita - di dover rendere le persone sempre più consapevoli e artefici dei loro destini, capaci cioè di leggere i cambiamenti per guidarli e non subirli, e per rinnovare quelle competenze che hanno fatto della nostra manifattura una tra le più importanti nel quadro mondiale.
 
Ma la forza di questo testo non si è esaurita: esso continua ancora oggi a postulare un progressivo lavoro di superamento, che non è mai terminato, della distanza che ancora purtroppo continua a separare chi è costretto a vivere il lavoro come costrizione, pena, sfruttamento ed umiliazione e chi invece ha la fortuna di arrivare a viverlo come creatività, gratificazione e crescita personale; distanza che la Costituzione ci impegna tutti ad accorciare rimuovendone con decisione le cause. 

Federico Ghillani, componente Consulta per la Pastorale sociale e del lavoro, Diocesi di Parma.

 

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