Diocesi di Parma

Profili di preti: padre Silvio Turazzi

Profili di preti è una sezione dedicata alla memoria grata di presbiteri defunti, sezione costruita sui testi scritti da don Domenico Magri in alcuni libri e fino al settembre 2018, poi, come in questa pagina, da don Stefano Rosati.

«L’amore di Dio è stato riversato nei nostri cuori
per mezzo dello Spirito che abita in noi»

(Rm 5,5) 

Oggi è entrato nell’infinito di Dio-Amore


PADRE SILVIO TURAZZI
(14 luglio 1938 - 26 maggio 2022)
Missionario saveriano

 

Padre Silvio TurazziTra i profili di preti, che ci ha lasciato d. Domenico Magri ci sono, e giustamente!, anche religiosi e missionari legati alla nostra diocesi. Tra questi ultimi, e con tanta riconoscenza!, non poteva dunque mancare la figura di padre Silvio Turazzi, missionario saveriano, che negli ultimi 30 anni ha testimoniato il Vangelo, vivendolo e servendolo in quel di Vicomero.

Per ricordarlo, aggiorno una bella testimonianza di Marina Piccone, apparsa sulla rivista dei Paolini “Credere. La gioia del Vangelo” 42 (2014).

“Lo si vedeva percorrere le vie di Stellata di Bondeno, il suo paese natale in provincia di Ferrara, in bicicletta, fedele compagna di quella che lui chiama la prima fase della sua tappa terrena.
La seconda fase coincide con un terribile incidente in cui, a 29 anni, perde l’uso delle gambe ed è costretto su una carrozzina. Ma questo non impedirà a padre Silvio Turazzi, missionario saveriano, oggi 76 anni (n.d.s. l’articolo risale al 2014: ad oggi sono 83 anni), di portare a compimento il suo progetto di vita percorrendo strade impervie, in senso letterale e no, con il suo nuovo mezzo di locomozione. Ma partiamo dall’inizio.

Nato il 14.07.1938, trascorre un’infanzia bella con due genitori amatissimi e cinque fratelli, uno dei quali, Andrea, è diventato vescovo di San Marino-Montefeltro (2013).
«Andrea - ricorda padre Silvio - all’età di 5 anni giocava con gli amici a fare il prete, ricordo le processioni che faceva nell’orto. È entrato prestissimo in seminario, a 9 anni». Della loro famiglia, racconta padre Silvio, il viso affilato e il sorriso timido: «Eravamo molto uniti, ci volevamo bene».
Il piccolo Silvio entra in seminario a 12 anni. Gli studi di Teologia e poi l’ordinazione a sacerdote, a 26 anni.

Dopo due anni di parrocchia entra nell’Istituto missionario dei Saveriani, a Parma, con l’idea di vivere la sua vita sacerdotale in maniera itinerante e non stanziale, «un modo di guardare il mondo con gli occhi di Dio; camminare con lui per sanare, unire, riconciliare».

È in partenza per il Giappone quando, il 1° maggio 1969, un incidente d’auto gli spezza la spina dorsale, «l’incontro duro con la sofferenza». Nove mesi di ospedale. «In quei giorni il Signore mi ha ripetuto “Sono qui”. Mi aiutava a rimettermi a zero, a cogliere meglio l’essenziale».
Senza spazio per la commiserazione, «cambiava la modalità, non l’orientamento della mia vita».

Nel 1971 è a Roma fra i baraccati dell’Acquedotto Felice, con i quali condivide la battaglia per la casa. Insieme alle amiche Edda Colla, che rimarrà sempre al suo fianco, fedele alla promessa che aveva fatto dopo l’incidente a cui aveva assistito, e Paola Mugetti. «Abitavo sotto agli archi in uno spazio sufficiente solo per il letto e la carrozzina. Con altre centinaia di persone facevamo vita comunitaria. C’era molta umidità. I bambini si ammalavano».
Ottenute le case e i servizi, padre Silvio dichiara concluso il suo lavoro e chiede di andare in missione in Africa.

Il 3 dicembre 1975 parte per la Repubblica democratica del Congo, allora Zaire, insieme a Edda e Paola. A Goma, capoluogo del Nord Kivu, vive e lavora in un centro per disabili. «Ho pensato alla novità del sentirmi fratello in un contesto dove la gente è stata tante volte umiliata da una presunta superiorità razziale. Quando gli abitanti mi hanno visto dire Messa in carrozzina hanno detto: “Allora è uno come noi”».

Realizza un piccolo villaggio della solidarietà, Muungano.
«Una casa comunitaria di quartiere. Ci occupavamo di sociale, salute, alfabetizzazione. Abbiamo creato laboratori di artigianato, falegnameria, cucina, cucito. Ci è sembrato che la popolazione apprezzasse il timbro personale della nostra presenza, il desiderio di migliorare il luogo in cui vivevamo, l’aver lasciato la nostra terra per vivere in spirito di fraternità».
Pensava di finire lì la sua vita, padre Silvio, ma nel 1992 una grave malattia lo costringe a tornare in Italia e, dopo un altro tentativo di ritorno in Congo, a rientrare definitivamente, alla fine del 1993.

Nel 1995, un’altra dura prova. In viaggio verso Loreto con le amiche di sempre, un’auto si abbatte sulla loro macchina. Paola muore. Di nuovo l’attribuzione di un senso al dolore. «Il dolore non è un incidente, è un fatto legato alla vita, che si apre attraverso di esso. È una realtà che rappresenta un invito a tenersi per mano, l’attesa di qualcosa di più che avverrà oltre la dimensione spazio-temporale che stiamo vivendo. Il paradiso è l’ultima risposta».

A Vicomero inizia la terza fase della sua vita, con la costituzione della Fraternità missionaria. L’apertura ufficiale della casa risale al 6 ottobre 1996, anche se questa aveva iniziato il suo cammino nella periferia di Roma (1970), per poi continuarlo a Goma (1977).
La fraternità di Vicomero è una famiglia allargata. Un piccolo agglomerato con tre case: in una lui, Edda, sette ragazzi e due donne di diversa nazionalità; nelle altre, due famiglie. Un giardino con l’orto e una piccola cappella in legno. «Essere un gruppo disperso nel popolo era il progetto di vita che Edda e io avevamo fatto ancora giovani. Una consacrazione diversa rispetto a quella tradizionale, una presenza religiosa meno strutturata, più elastica e discreta. Una piccola comunità che prega e affronta insieme la quotidianità, con tutti i problemi che questo comporta».
Qui il sacerdote e Edda gestiscono un mercatino del riciclo e un laboratorio d’artigianato. Con i proventi di queste attività, la pensione da invalido civile e l’aiuto di amici, continuano a sostenere Muungaano Solidarieté, a Goma, e aiutano i ragazzi a terminare la scuola e nella ricerca di un lavoro. Una vita sobria, fedele a un altro “precetto” del progetto di vita: tendere alla povertà intesa come libertà dalle cose e ricerca di ciò che conta.

A Vicomero, la disponibilità al servizio alla parrocchia della Purificazione di Maria, soprattutto per le celebrazioni, ma non solo, è stata ugualmente pronta, ogni volta che gli fosse richiesto, prima durante la vecchiaia e poi il ritiro del parroco “storico” d. Giovanni Lavezzini, poi durante la malattia di d. Alfredo Bianchi, parroco della vicina Castelnovo e dopo la morte di questi, quando la cura pastorale è stata affidata al parroco moderatore di Baganzola d. Corrado Vitali. Oggi, la consapevolezza di essere alla fine del suo percorso. «Sento di passare a un’esperienza più forte del mio limite, di scoperta del nulla di sé. Un passo verso l’infinito». Quel giorno, ne siamo sicuri, Silvio si alzerà dalla carrozzina, inforcherà la sua bicicletta e pedalerà fino a perdersi nell’orizzonte.

E aggiungo un’altra sua testimonianza, più recente (2021), quella di paziente Covid, apparsa sul quotidiano locale:

Sono all’ospedale, reparto Barbieri, zona rossa, guidato dalla professoressa Tiziana Meschi. Condivido qualcosa di questa esperienza. Non nascondo un timore iniziale. Osservo le persone: ammalati e personale medico. Ascolto il ritmo di chi porta il casco-ossigeno. Vedo correre delle “gazzelle di Parma”, giovani donne e uomini. Tanti vengono dal sud o da altri paesi. Portano una tuta bianca da “astronauti”, così la chiamano, ma dentro c’è un cuore empatico. Aiutano le relazioni con le famiglie. Lo stesso atteggiamento l’ho visto nel reparto di rianimazione dove il personale è più numeroso.
Dove c’è amore, lì c’è Dio. Noi ammalati di Covid entriamo con paura. Qualcuno dice «adesso mi manca il fiato». «Voglio morire». Poi dirà: «Voglio vivere!». Aveva detto a una nigeriana: «Sei nera!». Ero triste… «Non preoccuparti», mi disse, e lo aiutò con amore. Una lezione per me. Poi tutti amici!

È bello sentire le relazioni tra gli ammalati e le famiglie. «Metti i fiori vicino al balcone», uno dice alla moglie. Un altro raccomanda di salutare tutti i nipoti. Io ho chiesto di portare Gesù-Eucaristia e il cappellano francescano è arrivato. Vivo le delusioni di chi aspetta di andare a casa. Il rinvio è doloroso. Ci guardiamo, portando insieme dolore o rabbia e la speranza di tornare a casa. Per me una vera scuola.
Sono contento di aver vissuto il Natale qui, tanto vicino a quello di Gesù, di potere benedire tutti i giorni questa famiglia di Dio. La Benedizione è come una tettoia della mano del Risorto. Zona rossa non è un bunker, ma un’oasi! Certo è un cammino: sofferenza e gioia. È il mio povero grazie! Ciao”
.

Ciao, padre Silvio e grazie a te!
Come ci ricorda la Parola di Gesù nell’Evangelo di oggi, anche noi, pensando a te ed alla tua luminosa testimonianza di vita e di ministero, sentiamo di rivivere la “pasqua” degli apostoli: «State indagando tra voi perché ho detto: “Un poco e non mi vedrete; un poco ancora e mi vedrete”? In verità, in verità io vi dico: voi piangerete e gemerete, ma il mondo si rallegrerà. Voi sarete nella tristezza, ma la vostra tristezza si cambierà in gioia» (Gv 16,20).

don Stefano Maria

Parma, 26 maggio 2022

(Il pdf di questo profilo è scaricabile da qui)


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