Diocesi di Parma

Profili di preti: don Licinio Del Monte

Profili di preti è una sezione dedicata alla memoria grata di presbiteri defunti, sezione costruita sui testi scritti da don Domenico Magri in alcuni libri.

DON LICINIO DEL MONTE
25 marzo 1887 - 29 maggio 1971

DonLicinioDelMonteDon Licino Del Monte è perfino riuscito a farsi arrestare e a trascorrere una decina di giorni nel carcere di San Francesco. Il reato? Aveva suonato a festa le campane di Ognissanti.  Ma perché andare in prigione? È un reato per un parroco suonare le campane a festa? Si vede di sì. Ma eravamo nel 1943. Così si spiega tutto e si spiega il coraggio di questo prete indomito, difensore della fede e della dignità umana.

- Nato a Reno (Tizzano Val Parma) il 25 marzo 1887 e deceduto in Casa di Cura Piccole Figlie il 29 maggio 1971
- Ordinato sacerdote il 29 giugno 1910
- Cappellano a Soragna dal 1910 al 1911
- Delegato a Corniglio dal 1911 al 1913
- Delegato e poi Parroco a Ravarano dal 1913 al 1922
- al Collegio Pontificio d'Emigrazione a Roma nel 1922
- Cappellano a Bordo del Conte Rosso-Verde-Bianco dal 1923 al 1925
- Canonico a S. Secondo dal 1925 al 1928
- Parroco a Castelmozzano dal 1928 al 1934
- Parroco a Valera dal 1934 al 1942
- Parroco a Ognissanti dal 1942 al 1943
- Parroco a Marano dal 1943 al 1964
- alla Casa di Riposo Pigorini di Traversetolo dal 1964

Basta dare un'occhiata alle tappe della vita e della missione sacerdotale di don Licinio Del Monte (Soragna, Corniglio, Ravarano, Cappellano sulle navi per gli emigranti italiani, S. Secondo, Castelmozzano, Valera, Ognissanti, Marano, Casa di Riposo Pigorini) per rendersi conto che si è trattato di un personaggio non comune. Era un prete dalla fede solida, convinto del suo sacerdozio, che lui ha vissuto e interpretato con entusiasmo, con le caratteristiche pastorali del tempo e con il suo temperamento sanguigno, che non sempre riusciva a tenere a bada. Dovunque è passato, ha lasciato ricordi quasi mitici della sua presenza.
A Ravarano si è tramandato e ancora oggi si ricorda il suo stile di uomo, di prete e di parroco, a cominciare dal suo "viscerale" antifascismo, con episodi, che a prima vista sembrano discutibili, ma che a distanza di anni possono risultare perfino gustosi.
A me personalmente, quando lo andavo a visitare alla Casa di Riposo Pigorini di Traversetolo, ha raccontato di una sera estiva, quando sulla strada, ovviamente al buio (allora non esisteva illuminazione pubblica), parlava con gli uomini e i giovani. A un certo punto ha subito uno scherzo veramente di pessimo gusto da parte del fascista del paese. Don Licinio intravede nel buio il colpevole, lo insegue, lo raggiunge (era giovane, forte e imponente!) e dalla ringhiera della casa dei miei nonni paterni, lo scaraventa giù nel cortile, che è sottostante poco più di un metro. Ma la cosa più esilarante è stata la reazione della moglie del fascista, che si è affacciata alla porta di casa e, saputo dell'accaduto per colpa del marito, ha gridato in rigoroso dialetto ravaranese: "Dio lo benedica signor arciprete!"

Il "signor arciprete" di Ravarano era comunque un pastore attento e saggio. Usava ad es. la sua autorevolezza e la sua sensibilità pastorale nel seguire i suoi giovani che erano al fronte della prima guerra mondiale: le fidanzate, prima di spedire le lettere al fidanzato, passavano da don Licinio, che aggiungeva in calce i suoi saluti e le sue buone raccomandazioni. Che tempi irripetibili, quei tempi!
Il suo antifascismo, cui è rimasto sempre fedele, è esploso in un gesto clamoroso, che gli è poi costato caro: il 25 luglio 1943, quando era parroco di Ognissanti in città, aveva suonato le campane a festa alla notizia della caduta di Mussolini. Ma l'8 settembre, nel ricordo di questo scampanio festoso fuori ordinanza, il nuovo regime fascista lo ha rinchiuso nel carcere di S. Francesco, dove è rimasto una decina di giorni e scarcerato infine per interessamento del Vescovo mons. Colli.
(A questo punto vale la pena ricordare che don Licinio era stato preceduto dalla disavventura del coraggioso arciprete di Calestano, che nel 1935 era stato mandato al confino in Calabria dal regime fascista, perché aveva osato criticare dal pulpito la guerra d'Etiopia, mentre tutta l'Italia la osannava).

Don Licinio ha cambiato diversi impegni pastorali, anche perché veniva inviato in Parrocchie dove era necessario sanare situazioni difficili precedenti e perché, spinto dal suo inguaribile spirito pastorale di avventura, è arrivato perfino a fare il Cappellano sulle navi per gli emigranti che partivano per tentare la fortuna in America.

Io non posso dimenticare la visita che gli ho fatto nella Casa di Cura Piccole Figlie la sera prima della sua morte, quando ormai aveva perso conoscenza. Aveva accanto al suo letto due medici suoi amici e discepoli, che gli tenevano uno la mano destra e l'altro la mano sinistra, non certamente ormai per curarlo, ma semplicemente per commossa riconoscenza, espressa con queste parole: "Gli dobbiamo tanto: se non c'era don Licinio a convincere i nostri genitori a farci studiare, a seguirci con il suo incoraggiamento e con le sue lezioni private, noi avremmo fatto gli agricoltori come i nostri genitori".
Con lo stesso atteggiamento premuroso e intelligente, don Licinio sapeva accendere il desiderio del sacerdozio nei ragazzi che riteneva potenzialmente disponibili e li seguiva con l'incoraggiamento e con l'aiuto negli studi. Infatti era anche culturalmente ben ferrato. Tra l'altro, nelle Parrocchie dove è stato, organizzava corsi di lezioni per i ragazzi: come tanti preti dell'epoca, era una specie di "don Milani ante litteram". Che preti, i nostri preti di una volta!

I funerali di don Licinio sono stati celebrati nella mia Chiesa di S. Maria del Rosario in Via Isola (ci tenevo, per un suo antico legame con la mia famiglia e con me) ed è stato sepolto nel cimitero di Ravarano (accanto a sua sorella).
Già, proprio a Ravarano, "paese appennino", il paese della sua "ruggente" giovinezza sacerdotale!

(tratto da “I miei preti..... I nostri preti”, di don Domenico Magri - Grafica Langhiranese - 2008)

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