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Profili di preti: don Giancarlo Reverberi

Profili di preti è una sezione dedicata alla memoria grata di presbiteri defunti, sezione costruita sui testi scritti da don Domenico Magri in alcuni libri.

DON GIANCARLO REVERBERI
9 aprile 1936 – 21 luglio 2005

DonGiancarloReverberiCi voleva la bravissima nipote Simona Musi a ricordare e celebrare la memoria dello zio don Giancarlo Reverberi. E lo ha fatto in modo magistrale, con note biografiche precise, con la rassegna delle tante attività pastorali compiute e mettendo in evidenza le sue doti spirituali: il tutto raccontato con la tenerezza di una nipote!
Ho conosciuto da vicino e sono stato grande amico di don Giancarlo. Chi lo ha conosciuto e ne è stato amico, si confermerà nei sentimenti di ammirazione. Chi non lo ha conosciuto, leggendo questa rievocazione potrà fare una scoperta meravigliosa.

-  Nato a Bannone d Traversetolo il 9 aprile 1936
-  Ordinato presbitero il 9ottobre 1960
-  Parroco di Cedogno nel 1960
-  Vicario cooperatore di Fontanellato nel 1966
-  Parroco di Fontanellato nel 1970
-  Deceduto il 21 luglio 2005.

Don Giancarlo raccontato dalla nipote Simona nel decennale della sua morte

È una bellissima storia dello zio prete scritta con il cuore!
Era la primavera del 1936, quando da una famiglia di origini umili, veniva alla luce Giancarlo.
Il padre Augusto, campanaro a Bannone, faceva il sarto nella piccola stanzetta a piano terra della canonica. La madre Romilda, accudiva la piccola Anna di 2 anni e aiutava il marito. La loro gioia era grande.
Poi la famiglia crebbe con due vivaci bimbette, Maria Rosa e Maria Stella, che arrivarono ad allietare l’armonia e sostenere la forza lavoro.
Nell’ambiente di impegno e preghiera di casa Reverberi, crebbe la vocazione dei 2 primogeniti: Anna a 21 anni intraprese il cammino religioso nella congregazione Piccole Figlie e Giancarlo scelse di approfondire gli studi in Seminario a Parma. Per sostenerlo, le sorelle al fianco dei genitori, non si risparmiavano nel duro lavoro dei campi: a raccogliere pomodori, cipolle,…

La vita in seminario si rivelò assai impegnativa, tra studi, preghiera e approfondimenti della chiamata. Le materie da studiare erano difficili, ma la determinazione del ragazzo, unita alla passione e alla preghiera gli consentirono di raggiungere l’obiettivo. Iniziarono in quel periodo amicizie profonde con persone che sentivano la stessa chiamata, che lo accompagnarono nel percorso e con lui coronarono il sogno di diventare sacerdoti.

Era il 9 ottobre 1960, quando vennero consacrati per mani del vescovo Mons. Evasio Colli nel Duomo di Parma: don Giancarlo insieme a don Euclide Agnesini, don Giuseppe Bertozzi, don Ettore Bonani, don Giovanni Coruzzi, don Sergio Sacchi e don Luciano Scaccaglia.

La vera emozione fu quando gli venne comunicata la prima destinazione: la parrocchia di Cedogno e Ceretolo, piccoli paesi nelle colline parmensi, al confine con il territorio reggiano, sul torrente Enza.
La comunità che trovò era vivace, ma inizialmente non particolarmente sensibile al richiamo delle campane. Le giornate dei cedognesi erano scandite principalmente dal lavoro nei campi, al termine dei quali era usanza ritrovarsi “in veggia”, cioè stare insieme per raccontare storie o solo per stare in compagnia, nella stalla nei mesi invernali o nella piccola piazza del paese nei mesi estivi.
Tutta la famiglia di don Giancarlo si trasferì nella canonica dove il giovane prete iniziò l’attività pastorale. Seppe subito catturare la simpatia e l’amicizia dei parrocchiani con proposte innovative, che affiancava alle iniziative cristiane: sistemò la canonica ed il salone parrocchiale per farne punto di ritrovo della comunità per giocare a carte, a bocce o per “vedere il cinema”, visto che vi installò il televisore di paese, istituì la Schola Cantorum,…
Solenni erano le celebrazioni per le ricorrenze di Santa Maria, a cui è dedicata la chiesetta di Cedogno a lui tanto cara, della Madonna di Fatima il 13 maggio e le festività liturgiche. La passione che animava il suo operato accese i cuori e seppe “radunare il gregge” delle comunità a lui affidato. In quel periodo il padre gli acquistò un’auto usata, la “Balilla”, per agevolare gli spostamenti tra le sue parrocchie Cedogno a Ceretolo e quelle limitrofe, laddove si muoveva a sostegno degli altri preti della zona.

Dopo alcuni anni trascorsi a Cedogno, che amava definire anche successivamente il “suo primo amore”, venne il tempo di aumentare impegni e responsabilità e fu chiamato a collaborare con il prevosto don Baldisserri a Fontanellato, nell’ottobre del 1966.
Alla morte di quest’ultimo subentrò lui come prevosto delle parrocchie di Fontanellato, Priorato e Cannetolo e qui continuò la sua attiva opera pastorale per ben 35 anni.
Anche i genitori, Romilda e Augusto, si trasferirono nella canonica di Fontanellato, per sostenere il figlio nella vocazione.
Don Giancarlo anche a Fontanellato conquistò la comunità perché si fece uno di loro in mezzo alla gente, cercando l’incontro in Chiesa, ma anche per le strade, nella scuola ma anche al bar per una briscola.
Era infatti una persona attenta al prossimo, sensibile all’accoglienza di chi è nel bisogno, nelle diverse forme in cui si può presentare: bisogno di ascolto, di preghiera, di sostegno, di un pezzo di pane.
La mamma Romilda, in canonica, offriva un piatto a chiunque avesse l’esigenza, anche di passaggio, ma si prodigava in lauti pranzi per le occasioni speciali delle feste solenni o semplici ricorrenze o per momenti di condivisione con i frati del Santuario della Madonna o con gli amici sacerdoti. In particolare don Giancarlo amava celebrare l’anniversario della consacrazione sacerdotale in riservatezza con i suoi compagni, che invitava ogni anno a Fontanellato per un confronto religioso sulla loro missione con preghiera al Santuario, a cui seguiva poi un momento conviviale in canonica. Nasceva in questi incontri una rinnovata energia per continuare una missione di amore e di servizio e come lui stesso scriveva sulla Gazzetta di Parma a ricordo: “Ciascuno è tornato alla propria parrocchia con una più viva coscienza e tanta gioia di sentirsi fratello maggiore fra tanti fratelli in cerca di speranza e felice di poter esprimere ancora, all’uomo d’oggi, quel Dio che ogni sacerdote sente vivo dentro di sé.” Erano incontri dove “risuonava il “Tu es sacerdos in aeternum”: un rinnovato appello che incideva profondamente nel loro cuore: un sigillo indelebile, un ministero di amore ricevuto ed offerto per diffonder la parola di verità toccante e vivificante, per la quale essi si sentivano deboli strumenti della volontà divina, ma forti con la fede e la preghiera”.

Per tante generazioni di Fontanellatesi don Giancarlo ha segnato il cammino anche come insegnante di religione alla scuola media oltre che in Parrocchia. Qui, dal battesimo alla comunione fino alla cresima il don riusciva, con l’aiuto di validi catechisti, a coinvolgere i ragazzi nel significato del Sacramento nel percorso della catechesi, fatta di intensi momenti di preghiera alternati da gioco e riflessione. Tra le esperienze da ricordare spiccano, in paese, le visite agli anziani del Peracchi per portar loro un po’ di gioia e felicità uniti ai confetti delle comunioni; di grande richiamo erano le tombolate natalizie, le feste di carnevale, le giornate di torta fritta per raccogliere offerte per la parrocchia. Ma le avventure più appassionanti che i giovani degli anni settanta ed ottanta ricordano con il don, sono sicuramente le gite-pellegrinaggi ed i campi estivi.
Le mete delle uscite erano in primo luogo santuari, dove si univa alla preghiera anche la visita ai luoghi circostanti. È grazie a queste iniziative che in tanti hanno visitato Torino, il Santuario di Oropa, la Sacra Sindone, la Basilica del Santo a Padova, Sotto il monte a Caravaggio, S. Luca a Bologna, Roma e San Pietro fin anche Lourdes, la Madonna Nera in Polonia e Fatima, in un mix di clima spirituale e ludico.

E in estate le proposte per i ragazzi non mancavano: inizialmente campi estivi nell’appennino parmense, Mossale e Berceto, per poi andare verso le grandi vette della Val d’Aosta, il Cervino in Valtournanche e verso quelle del Trentino, le Tre Cime di Lavaredo a Misurina, perla delle Dolomiti; per diversi anni è stata fatta anche la proposta marittima a Pinarella di Cervia. Sono state esperienze uniche di crescita personale e comunitaria, di meditazione e di gioco, di ammirazione e di stupore della bellezza del creato, di accrescimento della conoscenza di sé e dell’altro secondo quanto predicato da Gesù, nel fascino avvolgente della maestosità dei paesaggi naturali. Il don era convinto che se la conoscenza di Dio è fondamentale per poterlo amare, il modo più semplice per conoscerlo, è quello di scoprirne la bellezza attraverso la contemplazione della natura intorno a noi, meraviglioso dono di Dio agli uomini.

Tra i ricordi simpatici di questi momenti di vita insieme vi sono le passeggiate, i passaggi che il don offriva in macchina per i più “provati” dal percorso, gli scherzi, i pic-nic ad alta quota, con pastasciutta e cosce di pollo trasportati in funivia… tutto era catechesi, anche la possibilità di imparare a rendersi utili, a rispettarsi, a non sprecare.

Il don aveva un carattere forte, a volte autoritario, sotto cui però vi era un animo buono e sensibile, attento a testimoniare i valori del Vangelo. Dall’alto del pulpito scuoteva gli animi, offrendo nelle sue prediche forti spunti di riflessione spirituale.

Di grande orgoglio sono stati per il don i due cori nati in parrocchia: il primo "Coro Santa Croce" guidato dal maestro Edoardo Macchiavelli e successivamente quello dei "Piccoli Cantori di Santa Croce" nel quale la maestra Federica ha coordinato le voci bianche dei bimbi che si divertono ancora oggi in questa esperienza.
Il primo coro ha iniziato dando la disponibilità per matrimoni e festività della parrocchia, arrivando poi ad esibirsi in diverse manifestazioni in provincia di Parma e oltre. Sulla scia dei successi era bello vedere il divertimento dei cantori e l'entusiasmo del don, che non mancava mai di accompagnare i "successi ottenuti" con momenti conviviali, volti a rafforzare l'amicizia e la voglia di mettere a disposizione degli altri i talenti ricevuti.....".

Anche a Fontanellato don Giancarlo si contraddistinse per l’accoglienza: da ricordare l’ospitalità che offrì a Angelo Gennari detto “Treno”, il nanetto, che dopo la carriera nel circo Orfei come clown, accolse in canonica come uno di famiglia fino alla morte. Questi si diede da fare sostenendo le iniziative del don di raccolta carta e ferro: lo si ricorda girare per il paese in sella alla sua biciclettina per raccogliere abiti in disuso, stracci e ferro per ricavare un beneficio a favore della Caritas.
Dopo Angelo, l’ospitalità venne offerta al sacerdote anziano di montagna, a chi uscito da un congregazione aveva bisogno di un periodo sabbatico, al “polacco”, all’”indiano”, al “marocchino”, al “senegalese”, all’”altro”, visto come colui che bussando alla porta chiedeva aiuto. Ha dato così esempio di accoglienza verso chi è meno fortunato, mettendo a disposizione i locali della parrocchia e di Priorato, dove è stato creato un vero centro di accoglienza, aperto in collaborazione con la Comunità di Betania di Parma.

Alla fine degli anni ’90 don Giancarlo affiancò alle attività pastorali un’opera di salvaguardia dei beni artistici affidati alla sua Parrocchia: l’inizio fu con stupendi dipinti del 700 della Chiesa Santa Croce, seguito dal restauro della sagrestia nell’Oratorio di San Gaetano, capolavoro del barocchetto parmense e culminò con la ristrutturazione della sagrestia lignea di Santa Croce, che riporta lo stemma dei Sanvitale ed incise le date di lavorazione della fine del 1600.
Visto che la sagrestia doveva essere smontata e trasportata in laboratorio a Reggio Emilia, l’impegno richiesto nel seguire le diverse fasi della lavorazioni fu notevole e l’obiettivo sfidante, ma la passione e l’amore per la “sua Chiesa” ed i suoi beni, animarono e sostennero don Giancarlo nell’intento.
E fu così che a dicembre 2003, la Comunità di Fontanellato potè festeggiare il riposizionamento nella sua sede di questa meravigliosa scultura lignea, costituita da mobili straordinari, intagliati e riportati al primitivo fascino dall’accurato restauro. All’inaugurazione parteciparono il Sopraintendente per il Patrimonio Storico Artistico di Parma e Piacenza, signora Lucia Fornari Schianchi e il critico d’arte Vittorio Sgarbi, che impreziosirono l’avvenimento.
Vista la riuscita dell’intervento e soprattutto la fattiva collaborazione con l’arch. Barbara Zilocchi, don Giancarlo mise le basi anche per riportare al suo antico splendore la Chiesa di San Benedetto di Priorato, opera terminata dal suo successore don Sergio Sacchi.
Questo, nonostante con l’avanzare dell’età si accentuassero sempre più i problemi fisici che minavano la salute del don fin da giovane e che più volte lo avevano portato a periodi di ricovero in ospedale, dove le cure ripristinavano l’equilibrio dei parametri vitali. Proprio per riprendersi tra gli impegni e le necessità della comunità, negli ultimi anni amava ritirarsi per qualche giorno in estate a Misurina, dove poteva godere del clima particolarmente benefico per la sua salute e soprattutto di silenzi che gli consentivano di lasciare spazio alla preghiera, alla meditazione nella contemplazione del creato. Queste uscite gli permettevano di continuare ad alimentare un colloquio spontaneo con il Signore, immergendo gli occhi nella maestosità delle montagne con il candore delle loro nevi e dei ghiacciai, come aveva insegnato nei campeggi ai suoi ragazzi.
Purtroppo nell’estate del 2005 la malattia ha avuto il sopravvento su questo uomo così forte che pareva una roccia e nel pomeriggio del 21 luglio è stato accolto nella Casa del Padre.

Nel decennale del suo ritorno a Dio, con gioia il don ritorna nelle vie come all’inizio del suo cammino pastorale, con la dedica di una zona tra la sua amata Chiesa ed il “cuore pulsante” e rappresentativo del paese di Fontanellato, la maestosa Rocca, in un gesto simbolico che lo mantiene in mezzo a noi, proprio vicino al portichetto dove poco prima di morire aveva  fatto collocare il crocefisso in bronzo donato alla Comunità. Aveva accompagnato la posa con queste parole, che ci rimangono come testamento: “Poniamo questo Crocifisso in luogo pubblico, con la libertà della nostra fede in Cristo che è anche il simbolo dell’umanità intera e soprattutto di tutti  i “crocefissi” di oggi che soffrono e vivono nel dolore. Questo gesto vuol quindi essere l’abbraccio della Chiesa con il mondo, fatto proprio attraverso l’immagine di una croce da cui scende un rivolo di acqua viva, idealmente destinata ad irrorare l’albero della vita.”
Passando di qua ci richiamerà ad una fede di partecipazione, come dichiarava alla Gazzetta di Parma in un’intervista del 1992: “Non si può vivere la fede senza imparare a donarla. Nella Chiesa non ci sono spettatori. Tutti hanno un compito, un ruolo, un impegno, un servizio. Il rimanere estranei o passivi vuol dire rendere vana la propria fede.” Questo l’invito, attuale ancora oggi e sempre: cercare il confronto nel dialogo per una fede coraggiosa e di testimonianza.


Simona Musi - Luglio 2015 nel decennale della morte dello zio don Giancarlo

 


Profili di preti: Italo Subacchi, seminarista

Profili di preti è una sezione dedicata alla memoria grata di presbiteri defunti, sezione costruita sui testi scritti da don Domenico Magri in alcuni libri.

ITALO SUBACCHI, seminarista
30 novembre 1921 – 20 luglio 1944

ItaloSubacchi

Il giovane Italo Subacchi, studente di teologia del nostro Seminario, fu trucidato assieme a due benemeriti sacerdoti bardigiani, don Giuseppe Beotti, parroco di Sidoli e don Francesco Delnevo, parroco di Porcigatone, alle ore 15,30 del 20 luglio 1944. Non si sa se questo sacrifico cruento fu voluto per rappresaglia o per tragico errore delle SS in operazione di rastrellamento nella zona. I due sacerdoti, colpiti in parti vitali, morirono all’istante; per Italo Subacchi invece l’agonia si protrasse per quasi due ore, tra pietosi lamenti e invocazioni strazianti, senza che alcuna persona del luogo potesse soccorrerlo.

Era un giovane eccezionale. C’è una testimonianza nella lettera di accompagnamento di mons. Barili che lo manda a Prelerna presso il nipote don Francesco: ”È un bravo giovane, serio e intelligente: ti potrà aiutare, la sua compagnia ti arricchirà. Non ha più i genitori, non ha più nessuno all’infuori di una sorella sposata a Bardi. Te lo mando perchè tu lo tratti come un fratello... Quello che tu e i tuoi genitori farete per lui, è come se lo faceste a me...”

Quando era ancora con don Barili, dopo l’8 settembre, ha dato le sue due vesti talari con il cappello da prete a due soldati inglesi per facilitare la loro fuga.
Ha lasciato l’Epistolario, Frammenti e il Diario.

Nota bene:
Anche Italo Subacchi, come tutti i Seminaristi, non era più in Seminario, perchè il vescovo Colli alla fine di aprile 1944 li aveva rimandati a casa per il pericolo dei bombardamenti a Parma.

Sintesi di don Domenico Magri della rievocazione di don Francesco Barili tratta dal volume “Il Seminario di Parma. Un secolo di vita” - 1986


Profili di preti: don Ugo Corradi

Profili di preti è una sezione dedicata alla memoria grata di presbiteri defunti, sezione costruita sui testi scritti da don Domenico Magri in alcuni libri.

DON UGO CORRADI
30 aprile 1932 – 16 luglio 1991

DonUgoCorradiDon Ugo: un prete così forte e così fragile! Aveva un carattere indomito e una volontà di ferro, ma anche lui aveva il suo “tallone d’Achille”: è stato portato via da una malattia in soli due mesi.
È stato il mio “parroco” di Calestano: ha seguito la mia famiglia e ha detto parole buone alle esequie dei miei genitori: grazie, don Ugo!

- nato a Soragna il 30 aprile 1932
- ordinato sacerdote il 19 giugno 1955
- Cappellano a Sala Baganza dal 1955 al 1959
- Parroco a Casaselvatica dal 1959 al 1963
- Parroco a Calestano dal 1963 fino alla morte (1991)
- Parroco a Canesano dal 1976
- Consigliere ecclesiastico dei Coltivatori Diretti dal 1978
- Economo spirituale di Fragno dal 1980
- deceduto il 16 luglio 1991 nell'Ospedale Maggiore.

Don Ugo è arrivato da Casaselvatica a Calestano nel 1963 con la forza della sua giovinezza, del suo temperamento robusto e del suo fisico che sembrava indistruttibile. E invece in due mesi di isolamento totale in ospedale, don Ugo ha dovuto arrendersi a una serie di complicazioni, che lo hanno portato alla morte a soli 59 anni. Io l'avevo visitato in uno dei pochi giorni trascorsi alla Casa di cura Piccole Figlie, prima del suo ricovero all'Ospedale Maggiore e poi l'ho visto appena deceduto. Che desolazione! Durante i due mesi di degenza accompagnavo qualche volta il vescovo Benito Cocchi all'ospedale, ma dovevamo accontentarci di ascoltare dai medici le notizie su don Ugo. Solamente il cappellano dell'ospedale poteva entrare. Don Ugo è stato inoltre seguito molto da vicino dall'amico don Sergio Nadotti, calestanese pure lui.

Il suo è stato un grande funerale, celebrato all'aperto nel piazzale della Chiesa, con tanta gente e tanti preti. Era ancora troppo giovane e pieno di vitalità e la sua morte aveva impressionato, come aveva impressionato la sua vita e la sua intensa attività pastorale a Calestano.

Don Ugo era nato a Soragna e faceva parte di quel gruppo nutrito di ragazzi, che a quei tempi regolarmente partivano per il seminario e si preparavano a diventare preti. Queste vocazioni, che giungevano poi a maturazione, erano il frutto della vitalità cristiana della parrocchia di Soragna e anche della appassionata cura pastorale di quel parroco esemplare che è stato mons. Bruno Binini.

Appena prete, don Ugo si è fatto le ossa a Sala Baganza come cappellano con l'arciprete don Giovanni Pelizziari che, guarda caso, da prete giovane era stato cappellano di Soragna con mons. Bruno Binini.
Dopo Sala Baganza, nel 1959 don Ugo è salito come parroco a Casaselvatica, un paese del Comune di Berceto, che aveva già avuto come parroco don Miani, anche lui sceso poi a Calestano come antecessore di don Ugo. Casaselvatica era un paese speciale come cultore e conservatore geloso delle tradizioni: non so fino a quando, ma certamente fino agli anni del dopo guerra, anche alle Messe dei giorni feriali, veniva celebrata la Messa in canto: si cantava ogni giorno la "mitica" Messa gregoriana degli Angeli.

Don Ugo, che già era predisposto con la sua sensibilità liturgica, ha forse imparato anche a Casaselvatica a curare il decoro delle celebrazioni, naturalmente musica compresa. Arrivato a Calestano è riuscito pure a dotare la Chiesa di un organo nuovo, visto che l'antico organo era stato completamente distrutto dal bombardamento: era il suo fiore all'occhiello e ne era giustamente orgoglioso.

Ad ogni estate riusciva a trascinare decine di ragazzi e giovani sulle Alpi, con escursioni coraggiose e intanto insegnava le escursioni e le arrampicate ben più impegnative e importanti della vita cristiana.

Era un predicatore illuminato e forbito: le parole gli salivano dal cuore e gli fiorivano in bocca. Ascoltarlo era una delizia. Ma non erano sempre parole che accarezzavano le orecchie, anzi....

Come suo compagno di Seminario, come confratello e come calestanese, anch'io conservo di don Ugo un ricordo affettuoso, pieno di stima e di riconoscenza.

(tratto da “I miei preti..... I nostri preti”, di don Domenico Magri - Grafica Langhiranese - 2008)


Profili di preti: don Roberto Cugini

Profili di preti è una sezione dedicata alla memoria grata di presbiteri defunti, sezione costruita sui testi scritti da don Domenico Magri in alcuni libri.

DON ROBERTO CUGINI
18 maggio 1924 – 18 luglio 2007

DonRobertoCuginiDon Roberto è stato una fortuna e un dono di Dio per tutti quelli che lo hanno incontrato. Ha vissuto in pieno la parola del Signore che ha detto: “C’è più gioia nel dare che nel ricevere”. E lui ha gioito tanto e ha fatto gioire tanti. È stato parroco di Ronco Campo Cannneto, ma la sua apertura di cuore, la sua intelligenza e la sua generosità lo hanno reso popolare in tutta la Diocesi.

- nato a Baganzola il 18 maggio 1924
- deceduto il 18 luglio 2007 nella Casa di Cura Piccole Figlie
- ordinato sacerdote il 29 giugno 1948 in Cattedrale dal Vescovo mons. Colli
- abilitazione in Lettere e Licenza in Teologia dogmatica all'università Lateranense
- Cappellano a Berceto dal 1948 al 1954
- Parroco a Ronco Campo Canneto dal 1954 fino alla morte.
- Amministratore parr.le a Viarolo dal 1987 al 1989
- Incaricato Diocesano Settore Scuola dal 1990 al 2001
- Insgnante Religione Scuola Media a Ronco CC dal 1962 al 1980
- Insegnante Religione Scuola Media a Trecasali e Roccabianca dal 1980 al 1990
- Assitenete Eccl. di Rinascita Cristiana dal 1993
- Amministratore parr. di S. Quirico dal 1993
- Amministratore parr.lre di Roccabianca e Fossa dal 1999 al 2000
- Vicario pastorale della Zona S. Secondo-Roccabianca-Sissa-Trecasali dal 2000 al 2003 e riconfermato per un secondo mandato.

Ho scoperto don Cugini già dal seminario: era più avanti a me con l'età e la classe, ma lo ammiravo per il suo temperamento vivace, positivo, sempre portatore di gioia e di entusiamo: era un trascinatore! La sua presenza riempiva la vita del seminario. È iniziato lì il nostro feeling, con una amicizia che non ha mai avuto pause.

Dopo l'ordinazione sacerdotale è stato mandato a Berceto, dove ha gestito il passaggio da quella figura popolare di parroco che è stato don Achille Monti, al nuovo parroco, il "predestinato" don Franco Grisenti, con il quale ha collaborato proficuamente con reciproco aiuto fino al 1954.

Da Berceto è sceso diventando parroco di Ronco Campo Canneto e lì è iniziata una stagione straordinaria di bene che lui ha dispensato a larghe mani, non solo in parrocchia, dove è sempre stato tanto amato, ma anche nel territorio circostante, soprattutto con la scuola media che lui ha istituito in proprio con una scelta audace e preveniente, e poi come insegnante nella scuola media di Trecasali.

Nei confronti della Diocesi ha espresso il meglio di sè con due incarichi prestigiosi: come Vicario pastorale della zona San Secondo-Roccabianca-Sissa-Trecasali e come incaricato per l'insegnamento della religione nella scuola, compito delicatissimo che richiede intelligenza e tatto: non gli mancavano certo!
Desidero, in particolare, mettere in rilievo il suo ruolo di Vicario pastorale, perchè in questo compito siamo stati colleghi e ho avuto modo di ammirarlo e perchè, avendomi chiamato per anni a predicare il ritiro spirituale ai preti della zona, ho toccato con mano la sua capacità straordinaria di animare e stimolare tutte le iniziative pastorali e ho ammirato il suo amore ai preti. Ogni ritiro si risolveva alla fine in una festa, quando i preti si sedevano attorno a quella tavola monumentale per il pranzo che lui offriva generosamente ogni volta, rifiutando categoricamente ogni tentativo di rimborso: il suo disinteresse è sempre stato proverbiale!

La sua malattia, lunga e dolorosa, è stata una cattedra eccezionale di fede e di coraggio per i suoi parrocchiani e i suoi amici: è lì che don Roberto ha saputo dimostrare che quanto aveva sempre predicato e insegnato nella sua vita era dottrina autentica, era il messaggio genuino del Vangelo.
E anche il funerale è stato la documentazione commossa che la sua gente e i preti gli hanno creduto fino in fondo e gli sono riconoscenti.
Una speranza: che la sua memoria non vada dispersa e non cada nell'oblio!

Al termine delle esequie di don Roberto non è mancata la poesia del suo grande amico don Brenno Tagliavini (1925-2016), che l’ha letta con voce commossa:

Una stella cometa s’è spenta;
la gigantesca parabola ha chiuso in bellezza
tuffandosi nel profondo silenzio di Dio.
Creata per essere punto di luce che vince le nebbie del dubbio,
conforta e orienta gli incerti fratelli.
La sua chioma, la sua infula di petali splendenti,
ha reso lucenti fanciulli sognanti, vecchi canuti, sereni.
Di scienza e di Fede generazioni ha nutrito;
con sua povertà, lungimirante pazienza e illuminata certezza del bene che ognuno porta con sè,
ha arricchito di Fede la vita di chi gli è stato discepolo e fiducioso amico.
Davanti al Signore ha portato i profondi segreti dei cuori,
e i miei fardelli sopportabili e resi leggeri dal Suo paterno e fraterno perdono.

(tratto da “I miei preti..... I nostri preti”, di don Domenico Magri - Grafica Langhiranese - 2008)


Profili di preti: don Giuseppe Alfieri

Profili di preti è una sezione dedicata alla memoria grata di presbiteri defunti, sezione costruita sui testi scritti da don Domenico Magri in alcuni libri.

DON GIUSEPPE ALFIERI
18 maggio 1883 – 16 agosto 1977

DonGiuseppeAlfieriSolo due anni a fare il prete in pianura, a Paroletta di Fontanellato. Per il resto sempre in quel di Tizzano con più di 60 anni a Carpaneto, di cui è stato custode geloso e da cui si è dovuto staccare con molto rammarico negli ultimi anni dalla sua vita, per essere accolto in città da una sua nipote.

- nato a Mattaleto di Langhirano il 18 maggio 1883
- ordinato sacerdote a Parma dal Vescovo mons. Conforti il 29 giugno 1908
- Cappellano a Tizzano dal 1908 al 1910
- Cappellano a Paroletta di Fontanellato dal 1910 al 1911
- Parroco a Carpaneto dal 1911
- deceduto a Costa di Tizzano il 16 agosto 1977.


Quando penso a don Giuseppe e alla sua permanenza in mezzo a noi in questi ultimi anni della sua vita, mi viene spesso in mente il mio primo incontro con lui che era appena arrivato in via Bezzecca in casa della nipote Emilia che lo ha saputo accogliere e curare con tanto amore.
È stato l'incontro che si è risolto in una grossa gaffe da parte mia, perché non conoscevo ancora la sua straordinaria vitalità fisica e spirituale. Infatti, pensando di interpretare la sua difficoltà a spostarsi ogni giorno per venire in chiesa, gli avevo proposto di celebrare la Messa in casa. Compresi subito che ci rimase molto male per questa proposta che per lui equivaleva un po' a una emarginazione.
Ebbene, proprio lì in quella mossa sbagliata, ho capito subito chi era don Giuseppe e così con gli amici sacerdoti, con tutti voi, abbiamo impegnato questi anni, fino alla sua morte, non solo a dargli la possibilità, ma a chiedergli di celebrare la Messa in parrocchia, di confessare, di visitare i vecchi (lui il più vecchio di tutti!), di portare la comunione ai malati, facendo magari tante scale con giovanile disinvoltura.
Questi anni sono stati veramente per lui e per noi una esperienza meravigliosa.

Don Giuseppe era l'inno alla vita perché era forte e sembrava non dovesse mai morire, ed era l'inno alla vita perché sprizzava ottimismo, fede, entusiasmo da tutti i pori della pelle.

La giovinezza perenne del suo sacerdozio (era ormai nel settantesimo anno di sacerdozio!) era uno stimolo continuo per noi preti ben più giovani di lui (ci chiamava affettuosamente "quei ragassi!“) e la sua  presenza era un elemento estremamente arricchente e maturante per tutta la comunità parrocchiale.
Anche voi cristiani lo sentivate particolarmente vicino: faceva la vostra stessa vita, condivideva la vostra quotidianità abitando nel vostro stesso quartiere e passando da un negozio all'altro per fare la spesa come voi e rendersi così più utile in casa.

Camminava proteso in avanti e sembrava dovesse cadere da un momento all'altro: in realtà anche in questo suo atteggiamento fisico esprimeva la sua tensione, la sua determinazione per fare, per arrivare puntuale e preciso a svolgere il suo servizio, per andare avanti con fiducia ed entusiasmo.

Noi siamo qui oggi a ringraziare il Signore per tutti i doni che ha concesso al nostro don Giuseppe: la vita e una vita lunghissima sempre utile agli altri, fino in fondo, la fede e il sacerdozio.
Noi siamo qui anche a ringraziare il Signore perché, in questi ultimi anni ha fatto dono a noi di questa creatura straordinaria che ci ha allietato tutti quanti con la sua presenza operosa, ha spezzato per noi il pane dell'Eucaristia, il pane sacramentale del perdono, il pane della fede e della speranza.
In questa Messa noi raccomandiamo al Signore don Giuseppe perché lo accolga nella sua Casa e gli dia la gioia di partecipare alla liturgia finale del Regno di Dio. Dopo una lunga giornata di lavoro e di fatica nella vigna del Signore, possa ricevere la mercede del servo fedele e godere il riposo meritato nell'intimità della Casa paterna.
Don Giuseppe ha bussato alla Casa del Padre dopo 94 anni di vita. Come dice un canto sacro, egli si è presentato a Dio dopo aver fatto tanta strada, con i piedi stanchi e nudi, portando con sé ceste di dolore, ma anche grappoli d'amore.

Facciamo la nostra preghiera al Signore per don Giuseppe in questa Eucaristia, attorno a questa mensa che gli era così cara e così familiare. Ogni Eucaristia è una memoria di quanto Cristo ha fatto per noi. La memoria è molto importante nella vita dell'uomo e del cristiano, la memoria è coscienza viva della realtà passata perché si salda con il presente e il futuro, la memoria è riconoscenza, la memoria non è ciò che si cerca di ricordare, ma ciò che non si riesce a dimenticare e appunto per questo la memoria è sempre una esperienza viva e illuminante per le nostre scelte.
Così deve essere la memoria, il ricordo di don Giuseppe che noi coltiveremo sempre nel nostro cuore.

Prima di terminare voglio ancora dirvi una cosa che mi ha sempre fatto impressione in don Giuseppe.
Quando avevamo molti fanciulli e ragazzi da confessare, lui correva sempre ad aiutarci e notavo sempre con gioioso stupore che non solo lui confessava volentieri i fanciulli, ma i fanciulli si confessavano volentieri da lui, forse più volentieri che da noi preti più giovani. Ed era bello osservare la mimica vivace nel volto del fanciullo e del vecchio prete che si fronteggiavano, si parlavano e si capivano a meraviglia nel dialogo sacramentale della penitenza. In una società che non permette al fanciullo di aprirsi con serenità alla vita e tende a emarginare il vecchio come un peso ingombrante, dobbiamo sentire la assoluta priorità della esperienza ecclesiale come esperienza aperta, che esalta la globalità del popolo di Dio, nel quale tutti devono sentirsi attori e necessari, dal fanciullo al vecchio che è portatore di valori troppo importanti con la sua stessa presenza. Per questo dobbiamo ancora una volta ringraziare il Signore perché proprio in questa settimana arriva in mezzo a noi don Raffaele Dagnino con la stessa disponibilità e freschezza giovanile di don Giuseppe.
Don Dagnino ha un temperamento certamente diverso da don Giuseppe Alfieri ed è più giovane, ma non ha più vent'anni e dopo tanti anni di esperienza sacerdotale come parroco di S. Giuseppe, chiede solo di poter lavorare al servizio di tutta la nostra Comunità interparrocchiale.

(tratto da “I miei preti..... I nostri preti”, di don Domenico Magri - Grafica Langhiranese - 2008)

P.S.: don Dagnino è venuto fra noi, ma è rimasto nella nostra Comunità interparrocchiale di Ognissanti solo due mesi e mezzo: è morto improvvisamente il 14 novembre 1977.