• 0521 380500
  • Questo indirizzo email è protetto dagli spambots. È necessario abilitare JavaScript per vederlo.
Mappa con orari Messe

Profili di preti: don Franco Guiduzzi

Profili di preti è una sezione dedicata alla memoria grata di presbiteri defunti, sezione costruita sui testi scritti da don Domenico Magri in alcuni libri.

DON FRANCO GUIDUZZI
16 febbraio 1924 - 9 settembre 2005

DonFrancoGuiduzzi

Don Franco aveva, come si dice, l’argento vivo addosso: mai fermo! Era un parmigiano doc, cresciuto nel centro storico. Fondatore della Chiesa di S.Maria della Pace, parroco per poco tempo di Castrignano, parroco di Santa Croce, responsabile di Emmaus con le Case di riposo come successore di mons Boraschi. E così è riuscito a costruire Villa S. Ilario, la Cappella S.Ilario e il grande refettorio di S.Bernardo. Ma sopratttutto ha “costruito” in Villa S. Ilario un clima caldo di affetto con l’accompagnamento fraterno dei preti anziani. Ha amato la Chiesa di Parma e la sua gente.

- nato a Parma il 16 febbraio 1924
- deceduto a Parma in Casa di Cura Piccole Figlie il 9 settembre 2005
- ordinato  presbitero in Cattedrale a Parma il 29 giugno 1948 da  mons. Colli
- Cappellano a Colorno dal 1948 al 1954
- Parroco a S. Maria della Pace dal 1954 al 1970
- Parroco a Castrignano dal 1970 al 1972
- Economo Spirituale a Riano nel 1972
- Parroco a S. Maria in S. Croce dal 1972  al 1991
- Direttore Ufficio Liturgico dal 1963 al 1966
- Responsabile di Emmaus (Villa S. Bernardo, Villa S. Ilario, Villa S. Clotilde) dal 1992 al 2002
- Direttore Ufficio Pastorale Salute diocesano e regionale
- Delegato Episcopale per la Testimonianza del Popolo di Dio dal 2000 al 2003
- Presidente Fondo di Solidarietà per il Clero dal 2002
- Segretario della Visita Pastorale dal 2003 al 2005.

Quando, poche ore dopo la  sua morte, sono andato a pregare davanti alla sua salma, con sentimenti di commozione profonda mi sono detto: "Finalmente don Franco riposa, con i piedi stanchi e nudi, dopo avere fatto tanta strada nei lunghi anni della sua vita". È sempre stato difficile il "fermo immagine" di don Franco, un prete di una attività instancabile, sempre in movimento. Ordinato sacerdote nel 1948, è stato cappellano a Colorno, parroco a S. Maria della Pace, dove la nuova chiesa era quasi finita, ma c'era da costruire una nuova comunità, parroco a Castrignano di Langhirano, per 19 anni parroco a Santa Croce, per 9 anni presidente e animatore spirituale del Centro Emmaus per gli anziani, dove tutto parla di lui e dove è stato padre, fratello e amico di tutti.
Al Centro Emmaus, continuando l'opera dell'indimenticabile fondatore Mons. Boraschi, don Franco è stato un grande costruttore: Villa S. Ilario per ospitare i sacerdoti, la grande e maestosa sala da pranzo di Villa San Bernardo, la Cappella di Villa S. Ilario e la palazzina direzionale. Non bisogna inoltre dimenticare che ha preso in consegna dalle Suore del Buon Pastore il pensionato femminile di S. Clotilde e lo ha inserito come terzo polo nel Centro Emmaus.
Da buon prete quale era, è stato una saggia guida spirituale per tutti: preti, suore, ospiti, operatori, con una particolare attenzione al gruppo dei volontari, che sono il fiore all'occhiello di Emmaus.


Venendo via da Emmaus nel 2002, il suo impegno non ha avuto sosta: ha continuato il suo servizio prezioso nella pastorale della sanità a livello regionale diocesano, ha fatto assistenza spirituale alla Casa di Cura Piccole Figlie, è diventato segretario del Vescovo per la Visita pastorale...

I malati erano la sua "passione" e adesso è facile pensare che il "Calvario" della sua malattia è la prova che non è stato capace solo di confortare gli altri, ma, venuta la sua ora, ha saputo dare l'esempio della sua fede e del suo coraggio nella sofferenza della malattia che lo ha portato alla morte. Don Franco ha stupito tutti per lo spirito con cui si è avvicinato, giorno per giorno, all'incontro con il suo Signore: è morto da vero uomo, da vero cristiano, da vero prete. Possiamo dire che ha fatto della sua morte una autentica e solenne celebrazione: è stata la sua ultima Messa, la più preziosa, davanti a Dio e davanti a tutti noi.

Don Franco era comunque un punto di riferimento per tanti, che in città, dove lui era nato, lo conoscevano, lo apprezzavano e sentivano il bisogno della sua parola di luce e di speranza che sapeva trasmettere a tutti: basta pensare al caso drammatico Silocchi-Nicoli.

Era soprattutto il grande amico dei preti, di tutti i preti, dai quali era riamato, perchè si sentivano raggiunti dalla sua attenzione affettuosa sempre, ma particolarmente nei momenti della sofferenza e della malattia: quante corse all'ospedale, appena veniva a conoscenza del ricovero dei sacerdoti!

Sento il bisogno di aggiungere che la mia vita si è intrecciata spesso con la sua e sempre in modo positivo e fecondo per me.
Quando lui era parroco a S. Maria della Pace, io ero parroco a Ognissanti, mentre il compianto don Celso Pelosi, morto giovane a Roma in un incidente stradale nel 1976, era parroco a Santa Croce. Mi ricordo che avevamo stretto un sodalizio amicale e pastorale a tre: quanti contatti e scambi di esperienze! Eravamo giovani e su di noi spirava forte e impetuoso il vento nuovo del Concilio.
Non ci siamo persi di vista neppure quando io sono andato parroco a Langhirano. E a Langhirano è arrivato un pomeriggio dei primi giorni di maggio del 2002, a nome del Vescovo, a chiedermi di lasciare Langhirano e di sostituirlo al Centro Emmaus: non aveva dimenticato il mio indirizzo! Ho il fondato sospetto che sia stato don Franco a suggerire il mio nome al Vescovo.

Tutti sappiamo che amava la montagna e compiva spesso imprese anche spericolate, secondo lo stile del suo temperamento: nella vita sapeva infatti affrontare situazioni difficili con molta fede e molto coraggio.
Solo due volte io sono stato suo compagno di escursione. La prima volta nel 1960, quando ero in vacanza a Cervinia, dove un bel giorno mi è capitato davanti per caso e mi ha subito trascinato sui ghiacciai del Plateau Rosa, fino alla cima del Braithorn a 4170 metri di altitudine.
La seconda volta è del 29 maggio 2003, appena due anni fa, quando forse la malattia era già in agguato. Con don James Schianchi, nostro comune amico, abbiamo fatto una "scampagnata" sui miei monti di Calestano e abbiamo mangiato insieme in località Colnello, nella casa-rifugio che avevamo a disposizione. Eravamo allegri: era allegro e pieno di brio anche don Franco, che non sapeva certo della malattia che lo aspettava. In fatto di convivialità gioiosa don Franco non era secondo a nessuno!
Alcuni giorni dopo mi ha colto di sorpresa con un gesto che rivela la sua sensibilità e la esuberanza della sua amicizia. È arrivato con una bella foto che lui aveva scattato a me e don James: con la foto aveva fatto confezionare un quadretto e dietro aveva scritto una breve composizione poetica, con tanto di rima, che termina così:
"Qui l'amicizia ci ha chiamati a convegno
e qui siamo in cerca di fraterno sostegno".
E qui, aggiungo io, c'è tanta parte del fantastico personaggio "don Franco Guiduzzi".
Naturalmente il quadretto me lo sono attaccato alla parete e lo conserverò come una reliquia!

(tratto da “I miei preti..... I nostri preti”, di don Domenico Magri - Grafica Langhiranese - 2008)


Profili di preti: don Sergio Bellini

Profili di preti è una sezione dedicata alla memoria grata di presbiteri defunti, sezione costruita sui testi scritti da don Domenico Magri in alcuni libri.

DON SERGIO BELLINI
4 gennaio 1931 - 2 settembre 2013

DonSergioBelliniPrete-pastore buono e amico di tutti. Dava la certezza di essere entusiasta del suo essere prete ed era contento di poter raccontare le sue iniziative e attività pastorali.

- Nato a Fontevivo il 4 gennaio 1931
- Ordinazione sacerdotale il 24 giugno 1956
- Coadiutore a Medesano dal 1956 al 1958
- Coadiutore a Fornovo nel 1958
- Parroco a Casola di Terenzo dal 1958 al 1970
- Parroco a Corniglio dal 1970 al 1984
- Parroco di Baganzola dal 1984 al 1998
- Cappellano a Misurina nel 1999
- Parroco di Madregolo dal 1999
- Amministratore parrocchiale e poi parroco di Lemignano dal 2002
- Deceduto in Ospedale Maggiore il 2 settembre 2013

Don Sergio Bellini era nato a Fontevivo, ma si può considerare un calestanese a tutti gli effetti: quando era ancora piccolo, la famiglia si era trasferita a Calestano, dove la mamma Emma faceva la levatrice comunale e il papà Celestino faceva servizio pubblico con la sua auto.
Abbiamo frequentato le scuole elementari insieme e siamo entrati insieme in Seminario Minore lo stesso giorno: 5 ottobre 1941. Una vita lunga la nostra, quasi in simbiosi, anche se in luoghi diversi, ma sempre nello stesso luogo dal punto di vista amicale. Tra l’altro ho un ricordo di un gesto che esprime il suo affetto verso di me: quando era parroco a Corniglio ed era deceduta la sua mamma Emma, ha voluto che fossi io a celebrare il funerale.
Don Guido Albertelli sapeva di questa nostra amicizia e penso di essere stato tra i primi, nelle ore antelucane del 2 settembre, a ricevere da lui la notizia della morte di don Sergio, che mi ha colpito al cuore, dolorosamente stupito anche per il modo così repentino della sua morte.
Ringrazio e ammiro don Guido Albertelli, che ha avuto don Sergio per alcuni anni  come suo ospite in canonica a Collecchio. Lo conosceva bene e gli era molto amico. Trascrivo qui la sua bella e commossa rievocazione al funerale.

RICORDANDO DON SERGIO al termine delle esequie nella Chiesa di Madregolo
Sentinella, pastore, presbitero

1. “Figlio dell’uomo, ti ho posto per sentinella alla casa di Israele” (Ez.3,16). Con queste parole del profeta Ezechiele inizia la lettura che viene proposta oggi in occasione della memoria del santo Papa Gregorio Magno e che don Sergio avrebbe meditato nella sua preghiera del mattino.
Sentinella è chiamato da Dio colui che Egli manda a predicare la Sua parola, a pascere il suo gregge. Sentinella è la prima immagine che mi viene ricordando don Sergio!
Cosa è chiesto a una sentinella? Di essere attenta, di vigilare, di saper scorgere da lontano qualunque cosa stia per accadere. “Chiunque è posto come sentinella del popolo deve stare in alto con la sua vita, per poter giovare con la sua preveggenza”.
Don Sergio sentiva profondamente la grave responsabilità di questa chiamata e tante volte si è chiesto: sarò ancora capace di essere sentinella come vuole il Signore? Gli anni andavano avanti, le forze diminuivano, le difficoltà per tanti versi aumentavano: vedeva crescere le sue lentezze e le sue negligenze. Quanta umiltà e quanto amore sentivo nelle sue parole: sarò ancora in grado di essere sentinella?
Poi pensando all’incoraggiamento del Vescovo, all’aiuto dei confratelli, all’amore delle sue comunità e dei suoi parrocchiani che sentiva vicini e tanto legati a lui, diceva: “Andiamo avanti, fin che il Signore vuole!”.

2. Nel suo studio, sul tavolo, un foglietto scritto  a mano  a mano per il prossimo numero del giornalino “Voce Amica” e due foto del grest di agosto. “Un’esperienza bellissima, con tanti ragazzi animati da catechisti e genitori…” leggo interpretando la sua scrittura. Quanto ci teneva ai suoi ragazzi, ai catechisti, al “piccolo coro”, al suo Oratorio! Vi voleva bene e gli dispiaceva non riuscire a fare di più e meglio… e si sentiva voluto bene da voi. Quante volte, nei nostri dialoghi durante il pranzo o la cena, mi sgridava perché non seguivo abbastanza l’oratorio, non dedicavo tempo e energie sufficienti… Era davvero un suo pensiero costante e una sofferenza vedere la sempre minore presenza di preti in mezzo ai ragazzi e ai giovani. Era un pastore che ha saputo camminare con la sua gente, senza dimenticare nessuno: le famiglie, gli anziani, gli ammalati. Con benevolenza parlava alle persone, in modo a volte anche confidenziale, mettendo a proprio agio chi lo ascoltava. Soprattutto chi si accostava a lui per il Sacramento del Perdono ne usciva pacificato.

3. È stato un prete, don Sergio, che ha vissuto nel pieno della sua maturità l’esperienza del Concilio Vat.II, pur essendo cresciuto, in Seminario, con un’educazione pre-conciliare. Ma ha saputo lasciarsi guidare dallo Spirito, rimanere docile alla sua azione e ai suoi doni.
Nella fedeltà alla preghiera liturgica e personale, nell’amore all’Eucaristia, nella devozione filiale a Maria don Sergio ha trovato alimento e forza per vivere con fortezza la sua vocazione, la gioia di vivere il ministero sacerdotale anche in tempi nuovi e di fronte a tante sfide difficili.
La perseveranza del parroco assomiglia alla pazienza dell’agricoltore che semina e aspetta i tempi della fioritura, della fruttificazione. Questa perseveranza non è stata, per don Sergio, uno stringere i denti, ma un dono che gli ha dato gioia e pace interiore. Un dono che ha saputo vivere e condividere con i suoi confratelli preti. Voleva loro bene, pregava per loro, si sentiva a loro legato (a tutti!) da una profonda carità presbiterale. Il Concilio ha parlato tanto del presbiterio: don Sergio, in modo semplice e genuino, ha vissuto profondamente il cammino del nostro presbiterio e cercava, pur con fatica, di entrare nella prospettiva della Nuova Parrocchia.

Sentinella vigilante, pastore dal cuore grande, costruttore di comunione tra i confratelli. È una ricca eredità quella che don Sergio ci lascia.

Don Guido Brizzi-Albertelli

(tratto da “Vescovi, preti, suore e amici”, di don Domenico Magri - Likecube - 2014)


Profili di preti: mons. Argo Cavazzini

Profili di preti è una sezione dedicata alla memoria grata di presbiteri defunti, sezione costruita sui testi scritti da don Domenico Magri in alcuni libri.

MONS. ARGO CAVAZZINI
24 maggio 1920 - 23 agosto 2006

MonsArgoCavazziniMa chi era mai questo don Argo? Per saperne qualcosa bisogna leggere intanto il curriculum qui sotto. Ma non basta: bisogna averlo conosciuto e frequentato. In lui c’era una convergenza armoniosa di fede, di signorilità del tratto, di fedeltà scrupolosa alla Chiesa e agli incarichi ricevuti e di preveggenza con i giovani, che lui ha riunito e seguito fondando il Cenacolo. Insomma: don Argo ci voleva proprio per la Chiesa di Parma!

- Nato a Malandriano il 24 maggio 1920
- Ordinato sacerdote il 19 marzo 1943
- Vicario Cooperatore in S. Sepolcro dal 1943 al 1944
- Economo Spirituale di S. Sepolcro dal 1944 al 1945
- Vice rettore del Seminario Maggiore dal 1945 al 1947
- Vice cancelliere Curia Vescovile dal 1947 al 1968
- Canonico della Basilica Cattedrale nel 1953
- Vice Assistente dioc. G.I.A.C. dal 1945 al 1947
- Assistente diocesano G.I.A.C. dal 1947 al 1967
- Insegnante in Seminario su Apostolato dei Laici dal 1947 al 1970
- Insegnante di Religione nell’Istituto Tecnico Industriale dal 1946 al 1949
- Insegnante di Religione nel Liceo Scientifico “Marconi” dal 1949 al 1954
- Vice delegato Vescovile dell’Azione Cattolica dal 1951 al 1967
- Canonico Penitenziere della Basilica Cattedrale dal 1953 al 1978
- Insegnante di Dottrina Sociale Cristiana in Seminario, dal 1956 al 1970
- Fondatore e responsabile del Cenacolo per la formazione cristiana dei giovani
- Cancelliere vescovile dal 1968 al 1997
- Nominato Protonotario Apostolico il 21 novembre 1997
- Deceduto a Villa S. Ilario il 23 agosto 2006.

Mons. Cavazzini ha avuto il “torto” di morire in età avanzata e di essere rimasto “nascosto” una decina d’anni in Villa S. Ilario. E così qualcuno forse se lo è dimenticato prima del tempo. Peccato! Ma lui in questi anni di nascondimento ha continuato ad essere presente ogni giorno alla Diocesi con la sua fede cristallina, con il suo interessamento appassionato alle vicende diocesane e con la sua sofferenza veramente dura e pesante, che ha saputo affrontare con una dignità straordinaria e offrire al Signore per tutti noi.

Mons. Cavazzini è stato insegnante di religione nelle scuole e apprezzato insegnante nel Seminario Maggiore cui era legatissimo: vi ha abitato per decine di anni, fino a quando è stato accolto in Villa S. Ilario. Ma soprattutto deve essere ricordato con riconoscenza come Cancelliere vescovile, come formatore di giovani e come Canonico della Cattedrale.
Ogni prete di Parma, nessuno escluso, ha avuto bisogno di mons. Cavazzini in Curia. E ha trovato sempre in lui un “gran signore”, un Cancelliere attento, discreto, puntuale nelle risposte e nelle richieste di chiarimento, fedele alle norme e alle indicazioni della Chiesa e dei Vescovi che si sono avvicendati a Parma e che lui ha servito con una dedizione assoluta. E tanto gentile, fine e delicato, anche quando non poteva dire di sì. Che cosa potevamo pretendere di più? Il suo è stato un compito per certi versi poco appariscente, ma preziosissimo per il buon funzionamento della Curia, con un occhio e con un cuore sempre attento alla dimensione pastorale dei problemi.

È stato Assistente dell’Azione Cattolica e ha fondato il Cenacolo, che era un folto gruppo di giovani, che lui ha formato in maniera solida e profonda, per preparali alle responsabilità del loro futuro nella vocazione religiosa, nella famiglia, nel mondo del sociale, della cultura e della politica. Con il Cenacolo mons. Cavazzini ha dato un grande contributo al ruolo specifico della Chiesa di Parma nei problemi della società. Era bello e commovente in questi anni assistere agli appuntamenti di questi ex-giovani, che si trovavano ogni tanto tutti insieme in Villa S. Ilario per recitare in cappella il Rosario con lui, intrattenerlo con il loro affetto riconoscente e per ricevere ancora una volta le sue direttive di vita cristiana, espresse con la sua voce ormai fioca, ma con i concetti sempre chiari.

E non bisogna sottovalutare la sua lunga esperienza di Canonico, con la presenza, non certo di facciata, in Cattedrale: sempre preciso nella partecipazione alla preghiera corale, esemplare nelle celebrazioni liturgiche e assiduo al ministero sacramentale della Riconciliazione.

Quando la sua bara è entrata in Cattedrale per le esequie al suono solenne e grave del bajòn, abbiamo avuto la sensazione che mons. Cavazzini si sia finalmente riappropriato, almeno per un’ora, della chiesa-madre, che era stata per tanti anni il suo “rifugio” preferito, secondo la parola del salmo 27: “Una sola cosa chiedo al Signore e questa desidero: abitare nella Casa del Signore tutti i giorni della mia vita”.

Nei suoi ultimi anni che io ho vissuto con lui a Villa S. Ilario, un particolare mi ha sempre fatto impressione: il canto nella sofferenza! La sua sofferenza era grande, ma alla Messa in cappella non rinunciava mai a cantare: forse il canto, come farmaco ed affermazione di fede, lo aiutava ad esorcizzare la sofferenza che lo tormentava. E quando dopo la Messa toccava a me spingere la sua carrozzina verso la sala di soggiorno e mi mettevo istintivamente ancora a cantare sottovoce il canto finale della Messa appena conclusa, lui cantava con me. Di solito era un canto alla Madonna.

Dopo le esequie in Cattedrale ho accompagnato la sua bara al Cimitero della Villetta, assieme all’amico mons. Sergio Sacchi. Ho fatto una esperienza interiore singolare, che mi ha rimescolato dentro tanti ricordi … di gioventù. Una volta tolto il coperchio dell’Arco dei Canonici sono comparse le altre bare sistemate nei ripiani. E allora sulle bare sono comparsi i nomi di tanti Canonici, che sono stati anche nostri insegnanti in Seminario e che hanno riempito con la loro presenza i solenni Pontificali dei tempi di mons. Colli. Con l’arrivo alla Villetta di mons. Argo Cavazzini si è aggiunto un altro confratello a questa “compagnia” così cara alla nostra memoria e al nostro cuore. Non per nulla, vicino all’ Arco dei Canonici, c’è l’Arco dei Vescovi e lì ci sono le spoglie mortali del Vescovo mons. Colli, il grande Celebrante.
Qui ci vorrebbe il nostro poeta Pezzani per immaginare un bel dialogo fra il Vescovo e questi sacerdoti, come lui ha saputo immaginare, nella nota poesia ambientata alla Villetta, il dialogo struggente tra padre Lino e i personaggi della sua vita di frate randagio per la povera gente.

Mons. Cavazzini è ora accanto al Vescovo che lo ha consacrato sacerdote e ai Canonici, e non solamente con il suo corpo mortale, perché è destinato a unirsi con loro alla liturgia celeste per cantare il suo amore al Signore a voce spiegata (finalmente!) e senza più le sofferenze della malattia.
“Hai mutato il mio lamento in danza, la mia veste in abito di gioia, perché io possa cantare senza posa. Signore, mio Dio, ti loderò per sempre” (dal salmo 29).

(tratto da “I miei preti..... I nostri preti”, di don Domenico Magri - Grafica Langhiranese - 2008)


Profili di preti: mons. Giacomo Antolini

Profili di preti è una sezione dedicata alla memoria grata di presbiteri defunti, sezione costruita sui testi scritti da don Domenico Magri in alcuni libri.

MONS. GIACOMO ANTOLINI
10 ottobre 1915 - 28 agosto 1983

MonsGiacomoAntoliniÈ stato un prezioso sacerdote che, se è lecito dirlo, ha lavorato “sotto traccia” nel tessuto vivo della Diocesi per avere avuto prima la fiducia piena del vescovo Colli e poi del vescovo Pasini di cui era fidato e stretto consigliere.
È stato tra gli ideatori della Fraternità sacerdotale, chiamata “Brigata nera” con un po’ di benevolo sarcasmo, ma che ha svolto un prezioso ruolo nella formazione dei presbiteri, quando la Diocesi non era ancora attrezzata per questo a sufficienza. Ha profuso tante delle sue energie alla Azione Cattolica.
Saggio, intelligente, ricco di fede, cordiale e dal tratto gentile con tutti, ha avuto forse un “tramonto” un po’ melanconico, concluso con la morte improvvisa. Non va dimenticato. A don Giacomo è stata giustamente intitolata una sala del Vescovado.

- nato a Lozzola di Berceto il 10 ottobre 1915
- ordinato sacerdote l'8 aprile 1939 dal Vescovo mons. Colli
- Assistente Diocesano della Gioventù Femminile A.C. dal 1944 al 1967
- Parroco a Vallerano dal 1939 al 1940
- Parroco a Medesano dal 1940 al 1943
- Parroco ad Ognissanti dal 1943 al 1958
- Parroco a S. Pietro dal 1958 alla morte
- Delegato Vescovile Apostolato dei laici dal 1967 al 1980
- Vicario Episcopale nel 1972
- Prelato d'Onore di Sua Santità nel 1974
- Rinnovo dell'incarico di Vicario episcopale dal 1976 al 1980
- Assistente del Mov. Eccl. Impegno Culturale (MEIC) dal 1980
- Vicario Episcopale dal 1980
- deceduto improvvisamente il 28 agosto 1983.

Il titolo di "monsignore" non gli si è mai incollato addosso: per tutti è sempre rimasto "don Giacomo o don Antolini".
Veniva da Lozzola di Berceto e da quello che so non ha reso felice la sua famiglia quando, ormai studente avanti nella scuola, aveva deciso di entrare in Seminario. Bisogna ammettere che la sua vocazione sacerdotale è stato un grande "acquisto" per la Chiesa di Parma: un prete che ha riempito beneficamente con la sua personalità e la sua saggezza alcuni decenni della vita della Diocesi.

Era partito in sordina, subito dopo l'ordinazione sacerdotale, come parroco di Vallerano, piccola frazione di Calestano alle falde del monte Sporno. Me lo ricordo, io ragazzo chierichetto, questo bel pretino giovane, che arrivava a Calestano in bicicletta per aiutare l'arciprete don Miani. Poi è scomparso dal mio radar di ragazzo e non sapevo dove era andato a finire. Poi l'ho saputo, perchè ha segnato anche la mia vita.

Dopo la permanenza di un solo anno a Vallerano, nel 1940 don Giacomo era andato parroco a Medesano e subito aveva fatto capire chi era e quanto valeva, per cui è stato sbalzato presto in città, come parroco di Ognissanti, la parrocchia allora più popolosa della Diocesi. È arrivato a Ognissanti nel novembre 1943, in un momento drammatico, non solo perchè c'era la guerra nella sua fase ormai acuta, ma perchè era stato mandato a sostituire don Licinio Delmonte, messo in prigione dopo l'8 settembre con il ritorno al potere del regime fascista. Motivo? Il precedente 25 luglio don Licinio, irriducibile antifascista, aveva suonato le campane a festa per la caduta di Mussolini.

Arrivato a Ognissanti don Giacomo non solo ha messo tutto il suo impegno pastorale nella parrocchia, ma ha cominciato a inserirsi nell'Azione Cattolica diocesana su richiesta del Vescovo mons. Colli che ne aveva intuito le eccellenti potenzialità.

È stato anche uno dei fondatori della Fraternità sacerdotale, una associazione nata per il mutuo aiuto formativo fra i sacerdoti, che facevano voto di obbedienza al Vescovo. La Fraternità sacerdotale è stata vista in maniera critica da una parte del clero di allora e gratificata con il titolo, non certo elegante, di "Brigata Nera". Bisogna però riconoscerle il merito di aver svolto, tra l'altro, una azione di supplenza per l'aggiornamento culturale e spirituale dei sacerdoti, quando la Diocesi non era ancora attrezzata per la formazione permanente del clero.

Nel 1958 don Giacomo, sempre più preso dagli impegni diocesani e forse perchè non si sentiva tagliato per la costruenda chiesa di S. Maria del Rosario in programma ad Ognissanti, è passato alla parrocchia di S. Pietro in piazza Garibaldi. Allora sia don Giacomo che il Vescovo mons. Colli, hanno pensato a me, cappellano a Fornovo, come successore a Ognissanti, nonostante che io avessi la "tenera" età di 26 anni.
E qui si inserisce un "siparietto" interessante che, a distanza di anni, si può anche raccontare.

Il Vescovo mons. Colli ha inviato don Giacomo dall'arciprete don Giuseppe Malpeli per chiedergli precise informazioni su di me. Don Malpeli, che mi voleva e mi vuole molto bene, ha risposto più meno così: "Don Domenico è bravo in tutto, ma ha un grosso difetto: non ha le doti per essere un buon amministratore perchè non sa essere un buon economo con i suoi soldi personali". Questa risposta di don Malpeli ha preoccupato (dovevo costruire una chiesa nuova), ma non ha bloccato la mia nomina, dopo che don Giacomo mi aveva giustamente messo in guardia su questo mio difetto (vero o presunto!).

Don Giacomo è stato per me un ottimo predecessore, perchè mi ha consegnato una parrocchia vitale con tante persone di ogni età formate dalla sua saggezza spirituale, con l'Azione Cattolica fiorente e con una attiva Conferenza S. Vincenzo. Ed è sempre stato con me prodigo di buoni consigli: infatti, soprattutto nei primi anni, giovane e inesperto come ero, andavo spesso a chiederli.

Anche con il Vescovo Mons. Pasini, di cui era consigliere ascolato, è stato fra i protagonisti della vita diocesana. È stato Vicario episcopale per diversi anni.
È morto improvvisamente a 68 anni, nel 1983, rimpianto da tanti preti e da tanti amici del laicato cattolico.
È stato un grande "benefattore" della Chiesa di Parma: non dimentichiamolo!

(tratto da “I miei preti..... I nostri preti”, di don Domenico Magri - Grafica Langhiranese - 2008)