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Profili di preti: don Italo Dall'Aglio

Profili di preti è una sezione dedicata alla memoria grata di presbiteri defunti, sezione costruita sui testi scritti da don Domenico Magri in alcuni libri.

DON ITALO DALL'AGLIO
12 marzo 1907 - 14 agosto 1973

Don Italo è stato un sacerdote dal temperamento particolare. Era un tipo sanguigno e focoso che lo penalizzava alquanto nel suo ministero, ma non gli impediva di svolgere la sua missione pastorale con impegno e buoni frutti. Io l’ho conosciuto nel periodo che era parroco a Ravarano, il paese delle mie origini e caro a me quanto Calestano.
Sento in particolare il bisogno e il dovere di rievocarlo anche per quello che ha lasciato scritto, non solo su Ravarano ma anche sulla Diocesi, con opere di storia locale, ancora utili da consultare.

- nato a Felegara (Medesano) PR il 12/3/1907
- ordinato a Parma da Mons. E. Colli il 29/6/1933.
- Commendatore dell’Ordine del S. Salvatore di S. Brigida di Svezia.
- Socio della Deputazione di Storia Patria.
- Dal 1/9/1933 al 1/7/1934 Coadiutore a S. Sepolcro;
- dal 1/7/1934 al 6/10/1956 Parroco a Ravarano;
- Dal 6/10/1956 Parroco a Marore.
- Deceduto improvvisamente il 14/8/1973.

Fra le sue pubblicazioni desidero fissare l’attenzione in particolare su “La Diocesi di Parma: appunti di storia civile e religiosa sulle 311 parrocchie della Diocesi.” (Scuola tipografica benedettina, Parma, 1966 - Primo e secondo volume)

Questi due volumi dovrebbero essere consultabili in Curia e in ogni parrocchia. Io li consulto frequentemente quando voglio sapere qualcosa della storia dei paesi, delle parrocchie e delle successioni dei parroci fin dal ‘500. Qualcuno ha snobbato questa opera dicendo che don Dall’Aglio l’ha messa insieme copiando qua e là. Certo, ma lo ha fatto come fanno gli studiosi seri, mettendo insieme i dati raccolti alle fonti, che lui ha sempre citato scrupolosamente. In questi due volumi troviamo una miniera inesauribile di dati storici per ogni parrocchia, frutto della sua passione e della sua ostinata ricerca delle fonti.

Fra le altre opere da lui date alle stampe mi piace citare “Ravarano paese appennino - Monografia storica del castello e della sua Chiesa" (Scuola Tipografica Benedettina, Parma 1954)      

Ravarano ha preso l’appellativo di “paese appennino” perché questo aggettivo è contenuto in una dolente e ingenua ma toccante poesia per una tragedia del Natale 1921 avvenuta con la morte di quattro ragazzi sulla nostra montagna alle falde del M. Cervellino. Ecco come don Dall’Aglio l’ha raccontata nel suo libro.

La tragedia dei 4 ragazzi nel Natale del 1921 sopra Fugazzolo, in località “La Vecchia”

“Il nome del paese di Ravarano fu conosciuto da una canzone (inttolata "Ravarano, paese appennino" - ndr)* cantata su tutte le piazze d'Italia e composta in occasione del rinvenimento delle salme di tre ragazzi e di una giovinetta rimasti sepolti sotto la neve mentre si recavano, nella ricorrenza del Natale dell'anno 1921, da Ravarano alle loro famiglie di Graiana nel Cornigliese. I tre fratelli erano: Pasini Angelo di anni 14, Antonio di 12 ed Elvira di 18, ed il cugino Briselli Guido di 12 anni. Morirono assiderati la notte del 24 dicembre 1921 in località "La Vecchia" sopra i monti di Fugazzolo presso Berceto. Le salme furono scoperte il 13 gennaio 1922: i giovani erano abbracciati, accovacciati sotto un ombrello, proprio sotto un grosso albero ricurvo in uno spondale impervio sovrastante due canaloni. Vennero poi sepolti nel cimitero di Fugazzolo il 14 gennaio.”

* Ravarano, paese appennino

Presso Berceto una grave sciagura
che ha destato un mesta impression;
furon colpiti da tanta sventura
quattro vittime che fan compassion.

Tre ragazzi ed una giovinetta
per le feste del santo Natal
per raggiungere la famiglia diletta
non pensarono al caso fatal.
Da Ravarano, paese appennino,
quei ragazzi lor voller partir;
a mezzogiorno son pronti in cammino
ed un parente li voller avvertir

che la strada era pericolosa
ed il tempo minacciava ancor,
i sentieri e la valle nevosa,
li pregava a restare con lor.

Ma quei ragazzi a nulla dan retta
ed in viaggio si mettono allor
per raggiungere la casa diletta
chè il Natale avevano in cor.

A Fugazzolo ancor li han fermati
e ancora più avanti di lì,
ma il destino li ha condannati
ad andare avanti, ad andare a morir.

La bufera li ha sopraffatti,
scoraggiati si fermano lì
sotto un albero tutti quattro abbracciati,
sotto un ombrello la loro sorte aspettar.

Minacciosa la neve saliva
su quei miseri senza pietà,
in poco tempo così li copriva
finchè la morte colpiti li ha.
-
Da venti giorni nessun sospettava
tal disgrazia venisse a colpir;
nelle ricerche così si trovavan
le quatro vittime a tanto soffrir.

Eran là tutti quattro abbracciati
in uno stato da far compassion;
or pensando a chi li ha generati,
c'è da morir o impazzir di passion.


Scorrendo l’elenco di tutti i suoi libri mi viene da chiedermi come don Dall’Aglio sia riuscito a scrivere così tanto, pur non mancando mai ai suoi doveri di parroco. Certamente questo esempio, che non è l’unico, serve a riconsiderare il livello culturale di tanti nostri preti di un tempo. Senza aver avuto modo di studiare all’università, che allora era una chimera, ci hanno lasciato, con la loro passione, sensibilità e tenacia, una preziosa eredità di vicende storiche e di valori culturali e non solo, che non dovrebbero andare perduti, come non dovrebbe svanire il ricordo riconoscente di questi nostri confratelli. 
Fa impressione leggere in Curia le schede manoscritte dei curricula dei vecchi preti: di solito risultano avere solo la licenza di quinta elementare come titolo scolastico. Eppure sono stati preti culturalmente eccellenti, cui magari sono stati affidati incarichi di grande responsabilità diocesana.

Io ho conosciuto abbastanza bene don Dall’Aglio mentre era ancora parroco a Ravarano, poi il rapporto si è inevitabilmente diradato. Ma non ho dimenticato le sue caratteristiche e lo penso con simpatia e riconoscenza ogni volta che mi appresto a consultare il suo doppio volume-capolavoro sulla Diocesi, che è sempre in bella vista nella mia libreria.
Mi pare lecito concludere e completare la presentazione di don Dall’Aglio, ricordando una certa amarezza che lui ha provato, e che non nascondeva a nessuno, per non aver avuto dalla Diocesi un riconoscimento che lui pensava di meritare.
È morto improvvisamente come parroco di Marore il 14 agosto 1973.
Spero di essere almeno riuscito a fare riemergere nella nostra memoria il ricordo di questo sacerdote che ha lasciato con i suoi libri tante notizie storiche e locali con l’esempio della sua fede di sacerdote e di parroco.

(Don Domenico Magri, 26 giugno 2017)


Profili di preti: don Camillo Giori

Profili di preti è una sezione dedicata alla memoria grata di presbiteri defunti, sezione costruita sui testi scritti da don Domenico Magri in alcuni libri.

DonCamilloGioriDON CAMILLO GIORI
23 febbraio 1922 - 16 agosto 2011

Don Camillo è stato per la nostra Diocesi un dono meraviglioso con il suo esempio di prete insegnante all’Università e un dono con il suo sacerdozio che ha vissuto nella disponibilità totale alle richieste del Vescovo. Una volta andato in pensione come insegnante ha “inventato” la missione di parroco prima a Felegara e poi a Ramiola. Ha trascorso gli ultimi giorni della sua vita a Villa Sant’Ilario, stimato e amato da tutti.

Dire don Camillo Giori significa dire alcune cose importanti che lui ci ha lasciato in eredità e che non vanno disperse. Intanto bisogna premettere che don Camillo è stato un grande dono della Diocesi di Milano alla nostra Diocesi di Parma, dal momento che si è stabilito a Parma per insegnare fisica all'università, e con onore, per la sua professionalità e competenza scientifica riconosciuta da tutti.

Già, ha fatto l'insegnante universitario. E che c'entra con la missione sacerdotale? Domanda impropria. Un prete è sempre prete anche quando non dice Messa, perché la Messa del prete non si riduce alla mezz'ora della celebrazione, ma continua nella misura in cui c'è la capacità di celebrarla anche "fuori orario", fuori dalla rubriche liturgiche e in ogni situazione, cioè sempre. E così è stato per don Camillo.

Ma noi tutti sappiamo che lui ha fatto il prete nel senso stretto del termine: questo sacerdote ambrosiano è venuto qui da noi con una straordinaria potenzialità pastorale. E così si è subito prestato a soddisfare tante richieste in questo senso. In particolare per tanti anni ha fatto praticamente da cappellano a don Sergio Sacchi nella parrocchia di S. Maria del Rosario.
E una volta in pensione come insegnante, nonostante l'età avanzata e con l'entusiasmo di un giovanotto, ha trascorso alcuni anni a reggere la parrocchia di Felegara e poi è stato parroco per dieci anni a Ramiola, dove è stato amato e quasi venerato per le sue doti di fede, di saggezza pastorale e di umanità.

Io personalmente ho avuto la conferma delle sue doti nell'ultimo anno della sua vita trascorso a Villa Sant’Ilario, rifugio caldo e protettivo dei sacerdoti anziani e ammalati: ha dimostrato di essere un gran signore nello spirito e di avere una grande fede, che si intravedeva anche nel suo modo di pregare. A mensa io lo avevo proprio davanti a me: aveva il sorriso facile, un sorriso che illuminava il suo volto e che regalava spesso a tutti, nonostante le nebbie che ormai avevano invaso la sua mente, una volta così lucida.

Voglio ricordare infine un episodio che risale al suo primo periodo di parroco a Ramiola. Il vescovo mons. Bonicelli mi aveva chiesto di fargli visita in parrocchia, dove era seguito con ammirevole attenzione dalla cugina Maria. Quel giorno, al mio apparire in canonica mi ha gettato le braccia al collo, piangendo di gioia e di riconoscenza per questo piccolo gesto di amicizia, ispirato dal Vescovo. Qui c'è tutta la sensibilità e la dolcezza di questo grande prete e grande uomo, che ha rallegrato la vita di tanti di noi. A lui diciamo una sola parola: grazie!

(tratto da “Vescovi, preti, suore, amici”, di don Domenico Magri - Grafica Likecube - 2012)


Profili di preti: don Giancarlo Reverberi

Profili di preti è una sezione dedicata alla memoria grata di presbiteri defunti, sezione costruita sui testi scritti da don Domenico Magri in alcuni libri.

DON GIANCARLO REVERBERI
9 aprile 1936 – 21 luglio 2005

DonGiancarloReverberiCi voleva la bravissima nipote Simona Musi a ricordare e celebrare la memoria dello zio don Giancarlo Reverberi. E lo ha fatto in modo magistrale, con note biografiche precise, con la rassegna delle tante attività pastorali compiute e mettendo in evidenza le sue doti spirituali: il tutto raccontato con la tenerezza di una nipote!
Ho conosciuto da vicino e sono stato grande amico di don Giancarlo. Chi lo ha conosciuto e ne è stato amico, si confermerà nei sentimenti di ammirazione. Chi non lo ha conosciuto, leggendo questa rievocazione potrà fare una scoperta meravigliosa.

-  Nato a Bannone d Traversetolo il 9 aprile 1936
-  Ordinato presbitero il 9ottobre 1960
-  Parroco di Cedogno nel 1960
-  Vicario cooperatore di Fontanellato nel 1966
-  Parroco di Fontanellato nel 1970
-  Deceduto il 21 luglio 2005.

Don Giancarlo raccontato dalla nipote Simona nel decennale della sua morte

È una bellissima storia dello zio prete scritta con il cuore!
Era la primavera del 1936, quando da una famiglia di origini umili, veniva alla luce Giancarlo.
Il padre Augusto, campanaro a Bannone, faceva il sarto nella piccola stanzetta a piano terra della canonica. La madre Romilda, accudiva la piccola Anna di 2 anni e aiutava il marito. La loro gioia era grande.
Poi la famiglia crebbe con due vivaci bimbette, Maria Rosa e Maria Stella, che arrivarono ad allietare l’armonia e sostenere la forza lavoro.
Nell’ambiente di impegno e preghiera di casa Reverberi, crebbe la vocazione dei 2 primogeniti: Anna a 21 anni intraprese il cammino religioso nella congregazione Piccole Figlie e Giancarlo scelse di approfondire gli studi in Seminario a Parma. Per sostenerlo, le sorelle al fianco dei genitori, non si risparmiavano nel duro lavoro dei campi: a raccogliere pomodori, cipolle,…

La vita in seminario si rivelò assai impegnativa, tra studi, preghiera e approfondimenti della chiamata. Le materie da studiare erano difficili, ma la determinazione del ragazzo, unita alla passione e alla preghiera gli consentirono di raggiungere l’obiettivo. Iniziarono in quel periodo amicizie profonde con persone che sentivano la stessa chiamata, che lo accompagnarono nel percorso e con lui coronarono il sogno di diventare sacerdoti.

Era il 9 ottobre 1960, quando vennero consacrati per mani del vescovo Mons. Evasio Colli nel Duomo di Parma: don Giancarlo insieme a don Euclide Agnesini, don Giuseppe Bertozzi, don Ettore Bonani, don Giovanni Coruzzi, don Sergio Sacchi e don Luciano Scaccaglia.

La vera emozione fu quando gli venne comunicata la prima destinazione: la parrocchia di Cedogno e Ceretolo, piccoli paesi nelle colline parmensi, al confine con il territorio reggiano, sul torrente Enza.
La comunità che trovò era vivace, ma inizialmente non particolarmente sensibile al richiamo delle campane. Le giornate dei cedognesi erano scandite principalmente dal lavoro nei campi, al termine dei quali era usanza ritrovarsi “in veggia”, cioè stare insieme per raccontare storie o solo per stare in compagnia, nella stalla nei mesi invernali o nella piccola piazza del paese nei mesi estivi.
Tutta la famiglia di don Giancarlo si trasferì nella canonica dove il giovane prete iniziò l’attività pastorale. Seppe subito catturare la simpatia e l’amicizia dei parrocchiani con proposte innovative, che affiancava alle iniziative cristiane: sistemò la canonica ed il salone parrocchiale per farne punto di ritrovo della comunità per giocare a carte, a bocce o per “vedere il cinema”, visto che vi installò il televisore di paese, istituì la Schola Cantorum,…
Solenni erano le celebrazioni per le ricorrenze di Santa Maria, a cui è dedicata la chiesetta di Cedogno a lui tanto cara, della Madonna di Fatima il 13 maggio e le festività liturgiche. La passione che animava il suo operato accese i cuori e seppe “radunare il gregge” delle comunità a lui affidato. In quel periodo il padre gli acquistò un’auto usata, la “Balilla”, per agevolare gli spostamenti tra le sue parrocchie Cedogno a Ceretolo e quelle limitrofe, laddove si muoveva a sostegno degli altri preti della zona.

Dopo alcuni anni trascorsi a Cedogno, che amava definire anche successivamente il “suo primo amore”, venne il tempo di aumentare impegni e responsabilità e fu chiamato a collaborare con il prevosto don Baldisserri a Fontanellato, nell’ottobre del 1966.
Alla morte di quest’ultimo subentrò lui come prevosto delle parrocchie di Fontanellato, Priorato e Cannetolo e qui continuò la sua attiva opera pastorale per ben 35 anni.
Anche i genitori, Romilda e Augusto, si trasferirono nella canonica di Fontanellato, per sostenere il figlio nella vocazione.
Don Giancarlo anche a Fontanellato conquistò la comunità perché si fece uno di loro in mezzo alla gente, cercando l’incontro in Chiesa, ma anche per le strade, nella scuola ma anche al bar per una briscola.
Era infatti una persona attenta al prossimo, sensibile all’accoglienza di chi è nel bisogno, nelle diverse forme in cui si può presentare: bisogno di ascolto, di preghiera, di sostegno, di un pezzo di pane.
La mamma Romilda, in canonica, offriva un piatto a chiunque avesse l’esigenza, anche di passaggio, ma si prodigava in lauti pranzi per le occasioni speciali delle feste solenni o semplici ricorrenze o per momenti di condivisione con i frati del Santuario della Madonna o con gli amici sacerdoti. In particolare don Giancarlo amava celebrare l’anniversario della consacrazione sacerdotale in riservatezza con i suoi compagni, che invitava ogni anno a Fontanellato per un confronto religioso sulla loro missione con preghiera al Santuario, a cui seguiva poi un momento conviviale in canonica. Nasceva in questi incontri una rinnovata energia per continuare una missione di amore e di servizio e come lui stesso scriveva sulla Gazzetta di Parma a ricordo: “Ciascuno è tornato alla propria parrocchia con una più viva coscienza e tanta gioia di sentirsi fratello maggiore fra tanti fratelli in cerca di speranza e felice di poter esprimere ancora, all’uomo d’oggi, quel Dio che ogni sacerdote sente vivo dentro di sé.” Erano incontri dove “risuonava il “Tu es sacerdos in aeternum”: un rinnovato appello che incideva profondamente nel loro cuore: un sigillo indelebile, un ministero di amore ricevuto ed offerto per diffonder la parola di verità toccante e vivificante, per la quale essi si sentivano deboli strumenti della volontà divina, ma forti con la fede e la preghiera”.

Per tante generazioni di Fontanellatesi don Giancarlo ha segnato il cammino anche come insegnante di religione alla scuola media oltre che in Parrocchia. Qui, dal battesimo alla comunione fino alla cresima il don riusciva, con l’aiuto di validi catechisti, a coinvolgere i ragazzi nel significato del Sacramento nel percorso della catechesi, fatta di intensi momenti di preghiera alternati da gioco e riflessione. Tra le esperienze da ricordare spiccano, in paese, le visite agli anziani del Peracchi per portar loro un po’ di gioia e felicità uniti ai confetti delle comunioni; di grande richiamo erano le tombolate natalizie, le feste di carnevale, le giornate di torta fritta per raccogliere offerte per la parrocchia. Ma le avventure più appassionanti che i giovani degli anni settanta ed ottanta ricordano con il don, sono sicuramente le gite-pellegrinaggi ed i campi estivi.
Le mete delle uscite erano in primo luogo santuari, dove si univa alla preghiera anche la visita ai luoghi circostanti. È grazie a queste iniziative che in tanti hanno visitato Torino, il Santuario di Oropa, la Sacra Sindone, la Basilica del Santo a Padova, Sotto il monte a Caravaggio, S. Luca a Bologna, Roma e San Pietro fin anche Lourdes, la Madonna Nera in Polonia e Fatima, in un mix di clima spirituale e ludico.

E in estate le proposte per i ragazzi non mancavano: inizialmente campi estivi nell’appennino parmense, Mossale e Berceto, per poi andare verso le grandi vette della Val d’Aosta, il Cervino in Valtournanche e verso quelle del Trentino, le Tre Cime di Lavaredo a Misurina, perla delle Dolomiti; per diversi anni è stata fatta anche la proposta marittima a Pinarella di Cervia. Sono state esperienze uniche di crescita personale e comunitaria, di meditazione e di gioco, di ammirazione e di stupore della bellezza del creato, di accrescimento della conoscenza di sé e dell’altro secondo quanto predicato da Gesù, nel fascino avvolgente della maestosità dei paesaggi naturali. Il don era convinto che se la conoscenza di Dio è fondamentale per poterlo amare, il modo più semplice per conoscerlo, è quello di scoprirne la bellezza attraverso la contemplazione della natura intorno a noi, meraviglioso dono di Dio agli uomini.

Tra i ricordi simpatici di questi momenti di vita insieme vi sono le passeggiate, i passaggi che il don offriva in macchina per i più “provati” dal percorso, gli scherzi, i pic-nic ad alta quota, con pastasciutta e cosce di pollo trasportati in funivia… tutto era catechesi, anche la possibilità di imparare a rendersi utili, a rispettarsi, a non sprecare.

Il don aveva un carattere forte, a volte autoritario, sotto cui però vi era un animo buono e sensibile, attento a testimoniare i valori del Vangelo. Dall’alto del pulpito scuoteva gli animi, offrendo nelle sue prediche forti spunti di riflessione spirituale.

Di grande orgoglio sono stati per il don i due cori nati in parrocchia: il primo "Coro Santa Croce" guidato dal maestro Edoardo Macchiavelli e successivamente quello dei "Piccoli Cantori di Santa Croce" nel quale la maestra Federica ha coordinato le voci bianche dei bimbi che si divertono ancora oggi in questa esperienza.
Il primo coro ha iniziato dando la disponibilità per matrimoni e festività della parrocchia, arrivando poi ad esibirsi in diverse manifestazioni in provincia di Parma e oltre. Sulla scia dei successi era bello vedere il divertimento dei cantori e l'entusiasmo del don, che non mancava mai di accompagnare i "successi ottenuti" con momenti conviviali, volti a rafforzare l'amicizia e la voglia di mettere a disposizione degli altri i talenti ricevuti.....".

Anche a Fontanellato don Giancarlo si contraddistinse per l’accoglienza: da ricordare l’ospitalità che offrì a Angelo Gennari detto “Treno”, il nanetto, che dopo la carriera nel circo Orfei come clown, accolse in canonica come uno di famiglia fino alla morte. Questi si diede da fare sostenendo le iniziative del don di raccolta carta e ferro: lo si ricorda girare per il paese in sella alla sua biciclettina per raccogliere abiti in disuso, stracci e ferro per ricavare un beneficio a favore della Caritas.
Dopo Angelo, l’ospitalità venne offerta al sacerdote anziano di montagna, a chi uscito da un congregazione aveva bisogno di un periodo sabbatico, al “polacco”, all’”indiano”, al “marocchino”, al “senegalese”, all’”altro”, visto come colui che bussando alla porta chiedeva aiuto. Ha dato così esempio di accoglienza verso chi è meno fortunato, mettendo a disposizione i locali della parrocchia e di Priorato, dove è stato creato un vero centro di accoglienza, aperto in collaborazione con la Comunità di Betania di Parma.

Alla fine degli anni ’90 don Giancarlo affiancò alle attività pastorali un’opera di salvaguardia dei beni artistici affidati alla sua Parrocchia: l’inizio fu con stupendi dipinti del 700 della Chiesa Santa Croce, seguito dal restauro della sagrestia nell’Oratorio di San Gaetano, capolavoro del barocchetto parmense e culminò con la ristrutturazione della sagrestia lignea di Santa Croce, che riporta lo stemma dei Sanvitale ed incise le date di lavorazione della fine del 1600.
Visto che la sagrestia doveva essere smontata e trasportata in laboratorio a Reggio Emilia, l’impegno richiesto nel seguire le diverse fasi della lavorazioni fu notevole e l’obiettivo sfidante, ma la passione e l’amore per la “sua Chiesa” ed i suoi beni, animarono e sostennero don Giancarlo nell’intento.
E fu così che a dicembre 2003, la Comunità di Fontanellato potè festeggiare il riposizionamento nella sua sede di questa meravigliosa scultura lignea, costituita da mobili straordinari, intagliati e riportati al primitivo fascino dall’accurato restauro. All’inaugurazione parteciparono il Sopraintendente per il Patrimonio Storico Artistico di Parma e Piacenza, signora Lucia Fornari Schianchi e il critico d’arte Vittorio Sgarbi, che impreziosirono l’avvenimento.
Vista la riuscita dell’intervento e soprattutto la fattiva collaborazione con l’arch. Barbara Zilocchi, don Giancarlo mise le basi anche per riportare al suo antico splendore la Chiesa di San Benedetto di Priorato, opera terminata dal suo successore don Sergio Sacchi.
Questo, nonostante con l’avanzare dell’età si accentuassero sempre più i problemi fisici che minavano la salute del don fin da giovane e che più volte lo avevano portato a periodi di ricovero in ospedale, dove le cure ripristinavano l’equilibrio dei parametri vitali. Proprio per riprendersi tra gli impegni e le necessità della comunità, negli ultimi anni amava ritirarsi per qualche giorno in estate a Misurina, dove poteva godere del clima particolarmente benefico per la sua salute e soprattutto di silenzi che gli consentivano di lasciare spazio alla preghiera, alla meditazione nella contemplazione del creato. Queste uscite gli permettevano di continuare ad alimentare un colloquio spontaneo con il Signore, immergendo gli occhi nella maestosità delle montagne con il candore delle loro nevi e dei ghiacciai, come aveva insegnato nei campeggi ai suoi ragazzi.
Purtroppo nell’estate del 2005 la malattia ha avuto il sopravvento su questo uomo così forte che pareva una roccia e nel pomeriggio del 21 luglio è stato accolto nella Casa del Padre.

Nel decennale del suo ritorno a Dio, con gioia il don ritorna nelle vie come all’inizio del suo cammino pastorale, con la dedica di una zona tra la sua amata Chiesa ed il “cuore pulsante” e rappresentativo del paese di Fontanellato, la maestosa Rocca, in un gesto simbolico che lo mantiene in mezzo a noi, proprio vicino al portichetto dove poco prima di morire aveva  fatto collocare il crocefisso in bronzo donato alla Comunità. Aveva accompagnato la posa con queste parole, che ci rimangono come testamento: “Poniamo questo Crocifisso in luogo pubblico, con la libertà della nostra fede in Cristo che è anche il simbolo dell’umanità intera e soprattutto di tutti  i “crocefissi” di oggi che soffrono e vivono nel dolore. Questo gesto vuol quindi essere l’abbraccio della Chiesa con il mondo, fatto proprio attraverso l’immagine di una croce da cui scende un rivolo di acqua viva, idealmente destinata ad irrorare l’albero della vita.”
Passando di qua ci richiamerà ad una fede di partecipazione, come dichiarava alla Gazzetta di Parma in un’intervista del 1992: “Non si può vivere la fede senza imparare a donarla. Nella Chiesa non ci sono spettatori. Tutti hanno un compito, un ruolo, un impegno, un servizio. Il rimanere estranei o passivi vuol dire rendere vana la propria fede.” Questo l’invito, attuale ancora oggi e sempre: cercare il confronto nel dialogo per una fede coraggiosa e di testimonianza.


Simona Musi - Luglio 2015 nel decennale della morte dello zio don Giancarlo

 


Profili di preti: Italo Subacchi, seminarista

Profili di preti è una sezione dedicata alla memoria grata di presbiteri defunti, sezione costruita sui testi scritti da don Domenico Magri in alcuni libri.

ITALO SUBACCHI, seminarista
30 novembre 1921 – 20 luglio 1944

ItaloSubacchi

Il giovane Italo Subacchi, studente di teologia del nostro Seminario, fu trucidato assieme a due benemeriti sacerdoti bardigiani, don Giuseppe Beotti, parroco di Sidoli e don Francesco Delnevo, parroco di Porcigatone, alle ore 15,30 del 20 luglio 1944. Non si sa se questo sacrifico cruento fu voluto per rappresaglia o per tragico errore delle SS in operazione di rastrellamento nella zona. I due sacerdoti, colpiti in parti vitali, morirono all’istante; per Italo Subacchi invece l’agonia si protrasse per quasi due ore, tra pietosi lamenti e invocazioni strazianti, senza che alcuna persona del luogo potesse soccorrerlo.

Era un giovane eccezionale. C’è una testimonianza nella lettera di accompagnamento di mons. Barili che lo manda a Prelerna presso il nipote don Francesco: ”È un bravo giovane, serio e intelligente: ti potrà aiutare, la sua compagnia ti arricchirà. Non ha più i genitori, non ha più nessuno all’infuori di una sorella sposata a Bardi. Te lo mando perchè tu lo tratti come un fratello... Quello che tu e i tuoi genitori farete per lui, è come se lo faceste a me...”

Quando era ancora con don Barili, dopo l’8 settembre, ha dato le sue due vesti talari con il cappello da prete a due soldati inglesi per facilitare la loro fuga.
Ha lasciato l’Epistolario, Frammenti e il Diario.

Nota bene:
Anche Italo Subacchi, come tutti i Seminaristi, non era più in Seminario, perchè il vescovo Colli alla fine di aprile 1944 li aveva rimandati a casa per il pericolo dei bombardamenti a Parma.

Sintesi di don Domenico Magri della rievocazione di don Francesco Barili tratta dal volume “Il Seminario di Parma. Un secolo di vita” - 1986