Pellegrinaggio "La Valle Santa reatina", 31 maggio – 2 giugno 2025

Buon giorno buona gente! Un saluto che racchiude l'entusiasmo per l'inizio di una nuova giornata e insieme il piacere di poterla condividere con gli altri. Questa espressione di saluto è uscita dalla bocca di Francesco: lo abbiamo imparato visitando la Valle Santa reatina in occasione del nostro ultimo pellegrinaggio parrocchiale dedicato a San Francesco. Il 31 maggio scorso, infatti, una cinquantina di pellegrini sono partiti in pullman da Sorbolo per raggiungere questi luoghi francescani, meno noti rispetto ad Assisi e dintorni, ma altrettanto significativi ed evocativi.

La prima meta è stata Spoleto, dove per Francesco tutto ebbe inizio. Siamo nel 1205 e Francesco, superata una lunga malattia e come si conviene ad un giovane del suo rango, decide di intraprendere la carriera per diventare cavaliere e, con questo intento, si mette in viaggio verso la Puglia. Nel tragitto, proprio a Spoleto, fa un sogno, in seguito al quale rinuncia alla carriera, torna ad Assisi, si distacca da tutti i suoi beni materiali e si mette completamente al servizio del Signore.

Le vicende della vita di San Francesco sono state scritte da San Tommaso da Celano, suo biografo e durante il nostro viaggio Roberto ce le ha raccontate con tanti particolari, curiosità ed aneddoti, facendo risaltare la figura di Francesco e consentendo a noi di arrivare preparati nei vari luoghi.

Spoleto era già stata meta del nostro pellegrinaggio dello scorso anno, sulle orme di San Benedetto, perciò stavolta non siamo entrati nella cittadina antica, ma ci siamo limitati a visitare la Chiesa di San Pietro extra moenia (fuori le mura). San Pietro è a poche decine di metri dalla statale Flaminia, all’entrata sud della città. Basta attraversare la trafficata bimillenaria arteria, inerpicarsi in strade strette per qualche tornante, salire un’ampia scalinata seicentesca per poi trovarsi davanti alla facciata della basilica, risalente all’epoca tardo-romanica. Essendo stata costruita sopra una minuscola ma scenografica falda ai piedi del Monteluco, si vede anche in lontananza e impressiona, specie quando è illuminata dal sole (come l'abbiamo vista noi), per la sua maestosa facciata in pietra dalle tonalità chiare, arricchita da splendidi altorilievi (scene della vita dell'Apostolo Pietro ed episodi tratti dalla novellistica medievale). Quando nessuno sapeva leggere e scrivere, la facciata diventava un libro aperto, resistente ai secoli, fatto di simboli, di favole di pietra, per divulgare verità inoppugnabili e codici di comportamento per poter ottenere la salvezza eterna. A noi risultano un poco enigmatici, ma non altrettanto a quei tempi. Potremmo dunque definire questa facciata un'icona del pensiero medievale e la sua straordinarietà rende questa chiesa una delle più belle dell'Umbria e del romanico in Europa. Questo edificio, risalente all'inizio del quinto secolo, venne fatto costruire dal vescovo spoletino Achilleo come luogo cimiteriale per i vescovi. Nei secoli poi ha subito trasformazioni e l'impianto e la facciata, così come le possiamo vedere oggi, risalgono al XII secolo. Nel 1329, in occasione di una battaglia cittadina, venne incendiata dai ghibellini, per poi venire ricostruita nel XVII secolo, modificandone l'interno secondo lo stile barocco romano. Noi abbiamo avuto il tempo di sostare davanti alla facciata, di ammirarla, ascoltando le opportune spiegazioni di Roberto, quindi siamo ridiscesi un poco più a valle dove ci attendeva in un elegante ristorante, un delizioso e abbondante pranzetto.

Ben rifocillati, ci rimettiamo in pullman verso la valle reatina. Lungo il percorso ci aspetta Piediluco, un pittoresco borgo umbro il cui nome significa “ai piedi del bosco sacro”. Il suo assetto è rimasto quello del medioevo, con case basse e colorate, dislocato nello stretto lembo di terra che corre tra il lago omonimo e il monte. Questo luogo fu caro a San Francesco, che vi passava diretto a Greccio, e qui compì prodigi e miracoli, come ci racconta Tommaso da Celano: “Seduto su una barca sulle sponde del lago, il «poverello» di Assisi intraprese il viaggio per attraversare la terra di Luco e iniziare anche qui la sua predicazione. Durante questo percorso, ricevette in dono un pesce da un pescatore del luogo che rimise subito in acqua liberandolo. Ma l’animale costeggiava la barca e si allontanò soltanto dopo aver ascoltato il sermone del Santo e ricevuto la sua benedizione”.
L’aneddoto rinsalda il legame di San Francesco con le creature dell’universo e con la natura, sempre protagonista benevola delle sue azioni. Proprio in questo luogo, dove il lago è la principale attrazione, il Santo si fermò varie volte tra il 1208 e il 1225, costruendo, con l’aiuto dei suoi compagni, una capannuccia di canne e fango per dare “convegno” (da cui il termine “convento”) ai frati alla fine della giornata.
Ma la testimonianza del passaggio del Santo di Assisi è soprattutto la maestosa Chiesa a lui intitolata, divenuta Santuario francescano e meta dei pellegrini che percorrono la via di Francesco. Commissionata alla fine del XIII secolo da Oddone Brancaleoni, feudatario del luogo, i lavori per la sua costruzione terminarono nel 1338, anno in cui la chiesa fu aperta ai fedeli.
La chiesa si erge fronte lago in cima ad una ripida scalinata. Il capomastro del cantiere era Pietro Damiani di Assisi, il quale orientò l’edificio lungo l'asse nord-sud, rispettando la morfologia del luogo, in una stretta fascia di terreno di notevole pendenza tra la riva del lago e le pendici del monte, delimitata da due antiche strade che costituivano la viabilità del borgo. La facciata in pietra romanico-gotica presenta bassorilievi con scene di pesca, barche e pesci, simboli del ringraziamento alla ricchezza offerta dal lago. Il portale, ora chiuso, è decorato con un Agnus Dei.
L’interno è a unica navata con sei arconi e vi si trovano reperti romani e un capitello utilizzato come acquasantiera. Gli affreschi che decorano l’interno risalgono prevalentemente al XVI secolo e sono di notevole valore artistico. Il campanile, posto sul lato destro della facciata, venne aggiunto nella prima metà dell’800 in sostituzione di quello originario, andato distrutto, che era collocato sul lato opposto. La chiesa, dal 1999, custodisce alcune reliquie di San Francesco, concesse dal Sacro Convento di Assisi per rinnovare la memoria del passaggio di Francesco.
Noi abbiamo passeggiato lungo il borgo, attraverso la gradinata abbiamo raggiunto la chiesa di San Francesco nel momento in cui il sole si rifletteva tutto sulle sue pietre. Abbiamo percorso anche un tratto di lungolago, abbiamo ammirato le rapide del Nera che si gettano nel lago e le paperelle che placide guazzavano incuranti dei nostri sguardi, barche colorate che si crogiolavano al sole e piccole imbarcazioni che filavano sull’acqua. Il lago di Piediluco è il secondo dell'Umbria, dopo il Trasimeno, ed è uno dei resti dell'antico Lacus Velinus, grande bacino di origine alluvionale che occupava anticamente tutta la piana reatina. Le acque del lago di Piediluco sono particolarmente calme e invogliano a provare qualche sport acquatico: non è un caso che la Federazione Italiana di Canottaggio abbia scelto questo luogo per gli allenamenti dei suoi campioni. Piediluco è anche campo di gara per regate nazionali ed internazionali, che attrae anche gli appassionati di canoa, vela e windsurfing, per i quali esistono molte strutture ricettive.

Da qui poi siamo giunti a Rieti: dal pullman abbiamo potuto vedere le mura che furono erette a difesa del centro della città, per la prima volta in epoca romana e poi più volte modificate e ricostruite durante il medioevo. Mentre della cinta romana rimangono poche tracce, sono ancora ampiamente visibili le mura medievali, con le torri e i portali, che sono considerate tra le più imponenti e meglio conservate del Lazio. A Rieti, nella basilica di Sant'Agostino, in centro città, abbiamo partecipato alla Messa nella solennità dell'Ascensione e il nostro diacono Manfredo ha concelebrato con il parroco.

Quindi, a pochi chilometri da Rieti, a Santa Rufina, abbiamo raggiunto il nostro albergo dove ci aspettava una cena con infinite e abbondanti portate che ha mitigato in parte la delusione dei tifosi interisti per la cocente sconfitta (dal maxischermo implacabili apparivano i gol subiti). La serata conviviale è proseguita poi tra musica, danze, spettacolo pirotecnico e per alcuni di noi anche una passeggiata nel piccolo centro.

L'indomani invece è tutto dedicato alla meravigliosa Valle Santa, così chiamata perché è stata percorsa e frequentata dal Santo, con i suoi quattro conventi. È una piana alluvionale, situata nel Lazio nord-orientale, originata dalla bonifica dell'antico Lago Velino (a testimonianza, sono presenti ancora alcuni laghetti). È interamente circondata e delimitata da montagne (a est e a nord i monti Reatini, a sud e a ovest i monti Sabini) e percorsa in tutta la sua lunghezza dal fiume Velino. È una parte importante di tutta la provincia di Rieti e al suo interno si trova lo stesso capoluogo. I centri abitati sono quasi tutti dislocati su alture ai margini della piana, sia perché questi nuclei sono sorti quando ancora la piana era paludosa, sia per rimanere lontani dalle possibili piene del Velino.

Il primo convento che abbiamo visitato è quello posto più in alto, Poggio Bustone (tra l'altro - curiosità - paese natale di Lucio Battisti, si trova anche un monumento in suo ricordo). Salire a Poggio Bustone significa quasi arrampicarsi sulla costa di una montagna e, una volta arrivati, ad accoglierti è la montagna stessa nella sua nuda e severa grandezza. Così dovrebbe essere apparso a San Francesco e ai suoi primi compagni nell'estate del 1208 questo posto. Siamo ancora agli inizi della sua nuova vita, Francesco vive con alcuni compagni, ad unirli la scelta della povertà; sappiamo che incontrarono difficoltà e incomprensioni, a un certo punto venne allora il momento di lasciare la città natia, di mettersi in cammino con tutto il carico di domande nel cuore: dove andare? E poi come affrancarsi dalla vita passata trascorsa nel peccato? Con questo travaglio interiore e il desiderio di mettersi in ricerca e trovare pace, Francesco giunge a quel grappolo di case che sembrano rincorrersi sul monte: Poggio Bustone, possedimento dei Benedettini di Farfa, gli apre le porte. E qui Francesco saluta: "Buon giorno, buona gente!". Anche noi siamo stati accolti da frate Renzo con questo saluto! Poi ci ha parlato di questo luogo che è diventato per Francesco luogo di riconciliazione e di misericordia.
Francesco qui scelse per sé una grotta, non una qualsiasi, ma una grotta buia che avesse una spaccatura, come due rocce che si avvicinano senza congiungersi del tutto, che poteva essersi formata a causa del terremoto avvenuto nel momento della morte di Gesù e che gli facesse ricordare il costato di Cristo trafitto dalla lancia. Qui Francesco, inquieto per le tante domande, incontra Dio, il sole che con la sua luce mette in evidenza le sue ombre. Quando Dio scompare dalla nostra vita, anche il peccato e la percezione di esso scompare. Francesco, incontrandolo, si rende conto del male compiuto nella sua vita: ha visto la morte perché ha ucciso, ma ora sa che è stato anche salvato da Dio. E una volta riconosciuto il peccato e accolto il perdono divino, si può annunciare. Allora torna dai suoi compagni, libero, raggiante e li invia a predicare a tutte le creature che Dio è buono e che la fraternità è il motore del mondo. Ascoltare frate Renzo è stato davvero edificante, così come visitare questi locali. Qui tutto parla di Francesco: la chiesa, dedicata a San Giacomo il Maggiore, con affreschi e dipinti antichi e altri più recenti; il convento con il chiostro, inaugurato recentemente dopo il restauro; il refettorio, destinato a divenire museo; poi ci sono altri locali per la vita comunitaria dei frati e per l'accoglienza dei pellegrini. Dunque, un luogo solitario dove sarebbe necessario fermarsi per qualche tempo per meditare, per essere rallegrati dalla presenza di tanta bellezza della natura e di tanti gatti, rigorosamente chiamati per nome, che vanno e vengono, quasi padroni.

Appeso alla scarpata di un piccolo monte, tra lecci secolari, troviamo Fonte Colombo, anche qui avvertiamo la presenza di Francesco, a suo tempo è stato ospite dei monaci di Farfa e ha amato questo luogo. Quando arriviamo, la celebrazione della Messa sta terminando, poco dopo il frate è con noi e ci accompagna, ci fa visitare dapprima la chiesa, quindi scendiamo lungo un percorso, a destra incontriamo il romitorio abitato da San Francesco e dai suoi primi compagni, il luogo dove il Santo subì l’operazione agli occhi. Infatti, durante il soggiorno nel 1225, un anno prima della morte, Francesco fu convinto da frate Elia a lasciarsi operare agli occhi per una grave malattia infettiva, il tracoma, che aveva contratto probabilmente nel viaggio in Oriente. L'intervento consisteva nella cauterizzazione, cioè l'applicazione di un ferro rovente sugli occhi. Subito dopo, di fronte, compare la Cappella della Madonna, detta della Maddalena, già esistente al tempo di San Francesco. Molto commovente, vicino alla finestra di sinistra, il Tau segnato da San Francesco, la sua "firma".
Per una ripida scalinata si giunge al Sacro Speco, dove San Francesco ricevette, secondo la tradizione, la Regola dei Frati Minori. Nel settembre del 1223, Francesco sale a Fonte Colombo con frate Leone e qualche altro: in questo mese mette le mani alla stesura definitiva della Regola scritta per i suoi Frati, approvata poi il 29 novembre 1223 da papa Onorio III e ancor oggi valida per tutti i frati minori.
Poi la Cappella di San Michele, l’Arcangelo tanto venerato da Francesco, e continuando la discesa si entra in una fenditura della roccia dove San Francesco si immergeva nell'intimità con Dio. Risalendo, arriviamo al luogo del leccio dove, secondo la tradizione, gli apparve Nostro Signore per confermargli la Regola.
Infine il chiostro che si mostra irregolare nella forma: collega infatti i vari ambienti della vita comunitaria dei frati, ambienti sviluppatisi in epoche diverse. Sul lato più alto della costruzione riconosciamo una sezione lasciata a pietre a facciavista: si tratta dell’antica casa colonica che San Francesco trovò qui, insieme alla cappella della Madonna e al Romitorio. Anche questo luogo invita alla preghiera e, nel silenzio, all'ascolto della voce di Francesco che ci ricorda di tornare al Vangelo di Gesù, alla Confessione, all'Eucaristia e a niente altro.
Con rammarico, il frate ci diceva che queste cose non si trovano nei film dedicati a San Francesco. Tra le curiosità, qui vivono tre frati, polli e conigli, ma nessun gatto. Nel bookshop abbiamo trovato un libro sulla vita del Beato Giovanni da Parma, nato per l'appunto a Parma nel 1208, entrato nell'ordine dei frati Minori, poi avviato agli studi; nel Capitolo generale del 1247 fu eletto ministro generale, divenendo uno dei primi successori di San Francesco. In questa zona ci sono vie che portano il suo nome. Roberto ha inviato all'ufficio di toponomastica di Parma una richiesta di intitolazione di via a questo cittadino che si è tanto distinto.

Il nostro viaggio contitnua con la visita del Santuario di Greccio, incastonato nella nuda roccia, incorniciato da una fitta selva di lecci, che stupisce per le sue fattezze. Si trova nell'immediata vicinanza dell'antico borgo medievale di Greccio e si affaccia sull'ampia conca reatina. Noi lo raggiungiamo a piedi, dopo un discreto numero di gradini. È il santuario nel quale San Francesco, nella notte di Natale del 1223, rappresentò con personaggi viventi la Natività. Francesco aveva il sogno di vedere, con gli “occhi del corpo”, il Signore che si faceva uomo. Quest’espressione è quella che riporta Tommaso da Celano, ed è significativa: innanzitutto, Francesco già lo vedeva, già lo conosceva, con gli occhi del cuore: la sua fede era assoluta e sincera. D’altro canto, gli occhi del corpo avevano la loro importanza, perché per lui, contrariamente a quanto accadeva solitamente nel Medioevo, tutto ciò che c’era nel creato non era da disdegnare, perché in questo si specchiava la perfezione del Signore. San Francesco era attratto dal mistero di Dio che si era fatto uomo: come il Signore potesse aver accettato di diventare umile, indifeso e arrivare bambino in mezzo agli uomini era un segno tangibile dell'amore di Dio. E questo lo affascinava a tal punto da volerlo condividere, da voler fare in modo che tutti potessero assistere. Era il 1223 e Giovanni Velita, signore di Greccio, grande amico del frate di Assisi, cercava in tutti i modi di convincerlo a trascorrere il Natale a Greccio, dove Francesco era già stato e dove, appunto, avevano stretto amicizia. E Francesco cedette volentieri, chiedendogli aiuti nella realizzazione del progetto che gli ronzava in testa probabilmente già dal viaggio in Terra Santa. Dopo aver chiesto al Papa l’autorizzazione a far celebrare la messa all’aperto (era allora severamente vietato celebrarla fuori da una chiesa), fu organizzato l'evento nella notte di Natale.
Tommaso da Celano racconta che i popolani arrivarono, chi munito di torcia chi di lanterne, e assistettero rapiti all’arrivo, in questa grotta, del bue e dell’asinello e del posizionamento della mangiatoia con del fieno. Velita fu molto impressionato e si disse convinto di aver visto il bambino prendere vita. Lo scopo di Francesco, ossia rendere concreto il mistero della nascita di Cristo, era stato finalmente realizzato.
Due anni dopo la sua morte, in concomitanza con la sua beatificazione, venne edificato il primo nucleo del Santuario: attualmente, lo si vede subito dopo essere entrati nel Santuario, e costituisce la Cappella del Presepio. Alla fine del 1300, alcuni pittori della scuola di Giotto realizzarono gli affreschi ancora oggi visibili sulle pareti della grotta, che raffigurano due Natività, una di Betlemme e una di Greccio, distinte ma significativamente poste una di fianco all’altra, in piena continuità. Nella scena di Betlemme, vediamo San Giuseppe osservare amorevolmente il mistero della maternità di Maria, che allatta un piccolo Gesù avvolto in fasce. La simbologia è estremamente potente: le fasce, il latte materno, indicano che Dio si è fatto uomo, che anche lui ha avuto bisogno di cure come noi. Ma le fasce indicano anche altro, perché ricordano la croce: quando Gesù scese da questa, venne avvolto ancora una volta da fasce, da tessuti in bende. La croce è ricordata anche dalla culla scelta dai pittori, che non è una culla qualsiasi, ma un sarcofago, una tomba. Nell’inizio, è già indicata la fine: Dio si è fatto uomo per morire, per donare all’umanità il suo sacrificio e portarla alla redenzione. Poi, al termine di un corridoio, si giunge a due luoghi che hanno accolto materialmente il Santo: il refettorio e il dormitorio, in fondo al quale esiste ancora la piccola e angusta cella dove Francesco riposava su di una roccia. Dal piazzale si giunge alla chiesa moderna, costruita nel 1959, dove è conservato un presepe dello scultore Lorenzo Ferri.

Immerso in una vallata a cinque chilometri da Rieti, circondato da boschi di castagni e roveri, appare il Santuario di Santa Maria della Foresta. Si tratta di un luogo nascosto, della cui presenza ci si accorge solo quando si giunge alla collinetta che lo sovrasta. Francesco arriva qui nell’estate del 1225, quando le sue condizioni di salute stavano divenendo sempre più precarie, ospite del prete che custodiva la chiesetta di San Fabiano. Oltre che la chiesa, il complesso comprendeva la canonica, una casetta, la vigna e un orto. Francesco era alla ricerca di tranquillità e solitudine, ma ovunque andasse la gente lo inseguiva, accorreva per vederlo, toccarlo e così accade anche qui. A questo luogo è infatti legato il racconto del miracolo dell’uva: i devoti e curiosi, desiderosi di incontrarlo, spogliarono la vigna del prete; Francesco rassicurò il suo ospite promettendo una ricca vendemmia. E così fu, dando forza al valore della condivisione e alla fiducia nella provvidenza. Dagli inizi del XIV secolo il complesso subì radicali trasformazioni, che portarono alla graduale scomparsa della chiesetta. All'inizio del XIV secolo i Romiti trasformarono in chiesa la canonica attigua a San Fabiano poi, a causa della loro eresia, furono costretti a donare il loro complesso al Vescovo di Rieti e solo molto dopo verrà donato dal Vescovo ai frati minori. La chiesa, ampliata nel XV secolo, assumerà il titolo di Santa Maria della Foresta e conserva al suo interno un interessante ciclo di affreschi del XIV secolo.
Solo nel 1947 un restauro ha individuato e ripristinato la chiesa occultata dalle costruzioni successive, quella che esisteva ai tempi del passaggio di Francesco. Nel periodo di permanenza, Francesco frequentò poco la casa perché la luce e il fumo del camino davano fastidio ai suoi occhi, scelse invece una grotta buia, che con devozione abbiamo visitato. Alla Foresta Francesco compose una parte del Cantico delle creature (il resto si pensa a San Damiano), quella dedicata a fratello fuoco e a sorella morte corporale. Avrebbe avuto mille motivi per alzare un lamento: aveva fatto esperienza su di sé del fuoco e le sue condizioni di salute erano cattive; eppure dalle sue labbra è uscito un canto di lode. Il Cantico infatti è un inno di lode e di ringraziamento a Dio, che passa in rassegna con intensità e stupore tutte le creature. In questo modo Francesco esprimeva la gioia e la riconoscenza che provava dentro il cuore per la bellezza del creato. Il Cantico è un canto che si fa preghiera nella preghiera che si fa canto. Claudio lo ha declamato per tutti noi con perfetta dizione nella versione originale, umbra. Dal 1990 alla Foresta non ci sono più i frati francescani, ma tutta la struttura è custodita dalla comunità “Mondo X”, dove la “X” simboleggia l'incognita che è dentro ciascuno di noi, con cui è necessario ricongiungersi per trovare l'equilibrio e per riconciliarsi con le difficoltà e gli errori della vita. Abbiamo incontrato il responsabile di questa comunità, che ci ha descritto i luoghi come sono ora e come erano nel periodo di permanenza di Francesco, e ci ha mostrato come sia possibile vivere bene adottando uno stile di vita lontano dal consumismo, secondo il modo di Francesco, confidando anche nella provvidenza. Anche qui i gatti vivono beati, ma anche Nina, il cinghiale con i suoi otto piccoli.

Ormai si è fatto sera, a malincuore lasciamo questa valle e questi luoghi santi, ma ci portiamo dentro tanta pace. Il giorno dopo è quello del rientro, il pomeriggio lo dobbiamo dedicare al viaggio, ma abbiamo ancora tutta la mattinata a disposizione. Restiamo sempre nel reatino e ci dirigiamo verso il suggestivo borgo di Farfa, abitato da poche decine di persone. Entrando nel borgo si trovano caratteristici negozi, per lo più artigianali, con i loro prodotti tipici (biscotti, pasta, olio, ceramiche, stoffe, ...). Francesco non è stato qui, ha solo avuto a che fare coi signori di Farfa, infatti in alcune occasioni è stato loro ospite perché avevano possedimenti anche in luoghi frequentati da Francesco. Qui non troviamo la semplicità dei luoghi francescani, la differenza balza agli occhi, ma il borgo merita proprio di essere visitato!
L’Abbazia Benedettina di Farfa era un’abbazia imperiale, titolo che le venne conferito da Carlo Magno; per secoli è stata una delle più potenti abbazie d'Europa e al suo apice dominò gran parte dell’Italia centrale, tanto da far ombra al potere del Papa. L’origine dell’abbazia è ancora incerta, anche se alcuni scavi archeologici hanno rilevato la presenza di un complesso risalente all’epoca romana. Oggi questo complesso conserva alcune caratteristiche di architettura carolingia visibili nel campanile e nel muro perimetrale che lo circonda, oltre alle bellissime lesene addossate alle pareti. Bellissima la Basilica di Santa Maria, che custodisce tantissimi capolavori: le grottesche della scuola degli Zuccari, i dipinti di Gentileschi e l’affresco rappresentante il Giudizio Universale, il soffitto in legno a cassettoni con lo stemma degli Orsini e i pavimenti cosmateschi del transetto. Dalla demolizione dell'altare seicentesco è riapparso l'altare carolingio. Oltre ai magnifici chiostri e alla ricca biblioteca che conserva ancora numerosi volumi e manoscritti, in uno degli ambienti del monastero è oggi collocata la grande installazione dello scenografo e illustratore Emanuele Luzzati, nella quale la millenaria storia dell'abbazia è ricostruita grazie a frammenti antichi, oggetti moderni, figure in materiali diversi. Si tratta di 12 scene con riferimenti agli scritti seicenteschi del monaco di Farfa Gregorio da Catino. Questo luogo è riconosciuto un centro di spiritualità e di cultura molto rilevante, un'oasi di tranquillità, lontana dalla vita frenetica dei nostri giorni, dove il tempo proprio non sembra sia trascorso.

Ma noi ora dobbiamo tenere d'occhio l'orologio. Dobbiamo raggiungere Casperia, altro bellissimo borgo antico, situato su una piccola altura, passeggiare lungo le sue stradine, quindi pranzare e poi avviarci verso casa.

E torniamo a casa con tanta gratitudine verso Roberto che, oltre a farci da guida, ci ha proposto di visitare questi luoghi, così tranquilli, perché non raggiunti dai normali circuiti turistici, così carichi di storia e così ricchi di fede e di umanità. E gratitudine anche verso il Signore per averci donato Francesco: il suo modo di vivere, le scelte che ha compiuto, la sua capacità di farsi piccolo, continuano ad occupare i nostri pensieri e i nostri cuori.